Intelligenze nazionaliSu Chat Gpt, il Garante della Privacy vuole una terza europea via tra Stati Uniti e Cina

«Noi siamo pronti a riaprire a ChatGpt il 30 aprile, se c’è disponibilità da parte di OpenAi a fare utili passi», dice Pasquale Stanzione. «La nostra è una strada intermedia, faticosa, per la libertà, la democrazia e la dignità della persona in Europa. Sacrificare diritti e libertà sull’altare del mercato è incompatibile con i nostri principi costituzionali»

(La Presse)

Pasquale Stanzione, 77 anni, presidente dell’Autorità garante dei dati personali, è colui che ha sospeso l’accesso all’intelligenza artificiale ChatGpt dall’Italia. Così siamo l’unico Paese a praticare il blocco per legge, oltre a Russia, Cina, Corea del Nord, Cuba, Iran e Siria. Insomma, non una compagnia di alto livello. Ma il 30 aprile il Garante potrebbe ripremere il tasto on, a patto che Open Ai, la società che ha creato il software, faccia alcuni passi avanti sulle richieste italiane.

Stanzione spiega la sua posizione a Federico Fubini sul Corriere, spiegando di puntare a una terza via dell’intelligenza artificiale, a metà strada tra Stati Uniti e Cina, in pratica.

«È la pluralità, la convergenza e la gravità delle implicazioni delle possibili violazioni ad avermi indotto a procedere in via cautelare, provvisoria e d’urgenza», dice. «C’è poi stata la ratifica del collegio dell’autorità e l’avvio di un ulteriore approfondimento istruttorio a livello europeo, che è importante per prevenire i rischi rilevanti per gli utenti di questa applicazione. Sottolineo che ci stiamo muovendo sulla base del Regolamento europeo per la protezione dei dati (Gdpr, ndr)».

Stanzione ha fatto riunioni con i vertici di OpenAi. «Il fatto stesso del confronto è indispensabile per tentare di dare una soluzione al problema», spiega. «L’obiettivo è trovare una risposta alle criticità che abbiamo indicato, che sia sostenibile da un punto di vista democratico per riorientare questo strumento – ChatGpt – verso una dimensione compatibile con la centralità della persona».

Il Garante spiega che «la verifica dell’età dell’utente è un aspetto rilevante, abbiamo chiesto alla piattaforma di indicare un metodo che riduca il rischio di false dichiarazioni. E soprattutto che gli utenti siano chiaramente informati che i loro dati vengono usati per un preciso scopo, l’addestramento dell’algoritmo. Noi siamo pronti a riaprire a ChatGpt il 30 aprile, se c’è disponibilità da parte di OpenAi a fare utili passi. Mi pare che da parte dell’azienda ci sia, vediamo».

Stanzione dice che nel blocco di Chat Gpt il governo non c’entra. «Il Garante è indipendente e autonomo, non è tenuto a conformarsi alla maggioranza o alla ricerca dei like. Certo, abbiamo sollecitato interrogativi sull’intelligenza artificiale che vanno al di là della protezione dei dati. Non si tratta di essere neo-luddisti, l’innovazione va benissimo. Ma dev’essere uno strumento, senza finalità oppressive sulla persona».

La nostra, precisa però, «è una limitazione provvisoria. Siamo di fronte a una multinazionale che supera i confini geografici e i divieti dei singoli Paesi. Ma le regole europee, come il Gdpr, stanno facendo scuola nel mondo. Come Italia indichiamo una via europea all’intelligenza artificiale, che prescinde dal liberismo accentuato statunitense come dal sovranismo autarchico della Cina o della Corea del Nord e si situa nel bel mezzo di questa nuova guerra fredda. La nostra è una strada intermedia, faticosa, per la libertà, la democrazia e la dignità della persona in Europa».

Intanto le aziende tedesche o francesi usano ChatGpt diventando più competitive delle italiane. «Ma sacrificare diritti e libertà sull’altare del mercato è incompatibile con i nostri principi costituzionali», ribadisce Stanzione. «L’articolo 41 della Costituzione stabilisce che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla libertà e alla dignità umane. Un mercato basato su forme di oppressione non sarebbe sostenibile, non funzionerebbe. Non possiamo accettare queste forme di capitalismo estrattivo».

Non potevate almeno aspettare una decisione europea, invece di bloccare in modo unilaterale? «C’era una situazione eccezionale di emergenza, che non ci permetteva di aspettare. Ricorrere a una decisione europea avrebbe comportato quantomeno un ritardo di tre o quattro mesi. Abbiamo dunque inteso prevenire violazioni ulteriori altamente probabili. Si era in presenza di un fumus e di un periculum di rischi e danni per la tutela dei dati personali».