L’ex leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini al congresso di Fiuggi disse che è giusto chiedere alla destra di affermare senza reticenza che l’antifascismo fu un momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato. E in continuità con questo ragionamento, ha chiesto a Giorgia Meloni di vincere la ritrosia a pronunciare l’aggettivo «antifascista».
Invito non accolto alla lettera, visto che – come lo stesso Fini ammette – nella lettera che la presidente del Consiglio ha scritto al Corriere per il 25 aprile, l’antifascismo non viene citato. Ma l’invito «è stato accolto nella sostanza, nei valori richiamati e nei riferimenti alla destra del dopoguerra», la difende Fini sul Corriere. «Al riguardo non avevo, per la considerazione che ho del presidente del Consiglio, alcun dubbio».
Nella lettera, Meloni ha parla di festa della libertà, e non della «Liberazione». Fini commenta: «È ovvio che se oggi possiamo festeggiare il 25 aprile come festa della libertà è solo perché gli italiani sono tornati liberi con la fine del regime fascista. Meloni ha scritto anche che “i costituenti affidarono alla forza della democrazia il compito di includere anche chi aveva combattuto tra gli sconfitti”. E ha fatto un inedito, per la destra, quanto esplicito riferimento all’amnistia firmata da Togliatti. È un concetto importante perché sottolinea l’auspicio che la celebrazione del 25 aprile non sia più strumentalmente utilizzata per stilare la lista “dei buoni e dei cattivi”, non già, come è giusto, in ragione del giudizio sul fascismo e sulla Resistenza, bensì in ragione della contrapposizione politica tra destra e sinistra».
Meloni ha richiamato le parole di Violante su una certa “concezione proprietaria della Resistenza”, secondo Fini, «per ricordare con garbo che è storicamente vero che, specie nel biennio ’43-’45, non tutti gli antifascisti credevano nella democrazia liberale. Una parte guardava all’Urss come riferimento politico e culturale. E non si tratta di mistificazione. Ma oggi che fortunatamente nessuno indica più il comunismo come modello e che a destra si è tagliato ogni legame, anche di carattere nostalgico, con il fascismo, non si può continuare a sostenere che l’antifascismo è autentico solo quando è di sinistra, e che la destra non lo è perché non pronuncia mai nemmeno la parola».
Le parole, però, sono importanti. E «antifascismo» lo è più di altre. «Ma lo sono anche i gesti simbolici», dice Fini. «Cosa significa quindi l’abbraccio tra Meloni e Paola Del Din, medaglia d’oro della Resistenza, combattente antifascista della Brigata Osoppo, se non la concreta, fisica dimostrazione di credere davvero nel valore supremo della libertà e di onorare coloro che rischiarono la vita per restituirla al nostro popolo? E Meloni ha ribadito che è un dovere di tutti stare dalla parte della libertà e contro la dittatura sempre e ovunque, anche in Ucraina».