Quando si parla di lievito madre è facile perdersi in disquisizioni filosofiche, in lunghissime discussioni che sembrano non avere fine. Quella con il lievito madre, per chi la vive, è infatti una storia di reciproco affetto, puro e incondizionato. Anche di dipendenza, ad essere sinceri. Ed è una di quelle storie che ad occhi esterni può sembrare strana e difficile da capire, quasi fosse una relazione tossica che rende dipendenti e inebetiti. In realtà gli elementi sono davvero gli stessi che accomunano tutti i rapporti: tempo, impegno e dedizione. In questo caso, servono quaranta minuti al giorno per riuscire a tenere in vita il lievito madre. Sì, tenere in vita, perché di quello si tratta: di un qualcosa che nasce, si modifica, si moltiplica e respira tra le nostre mani.
Forse è questo quello che spaventa davvero. Il fatto di dover essere responsabili di una forma di vita esterna a noi. E forse è anche la chiave del successo del lievito madre di questi ultimi anni, in cui la pandemia ci ha fatto virare verso nuovi valori e modi di espressione. Se la nostra esistenza viene messa in stand by, allora proviamo ad agire su un semplice impasto di acqua e farine e vediamo l’effetto che fa. La pandemia ha avuto infatti il pregio di farci riscoprire il lato lento delle cose, il sapore dell’attesa e il ritorno ad una quotidianità semplice.
Ne abbiamo parlato anche con gli esperti della farina Petra: di lievito madre, di lievitazione, di aspettative, tecniche e della necessità di perseguire in un lavoro a tratti faticoso ma intriso di soddisfazione.
Petra è il primo progetto di un molino italiano che ha voluto puntare sull’identità della farina e su una metodologia di macinazione che coniuga le prassi antiche con la tecnologia contemporanea.
Un po’ come succede appunto per la pasta madre, che con Petra ha un legame forte quanto una maglia glutinica realizzata a regola d’arte. Questo in quanto il mondo valoriale della famiglia Quaglia ruota intorno alla qualità degli ingredienti che deve trovare un’alchimia perfetta attraverso le mani dell’uomo e il suo lavoro. Ma non solo, diventa fondamentale la conoscenza di quegli stessi ingredienti, che si fanno strumento di un disegno più grande e armonico che è la base della nostra alimentazione.
Eppure spesso ci si fa spaventare da processi produttivi, che sulla carta risultano essere più complicati e in grado di mettere soggezione. Come appunto può essere per il lievito madre, che, in realtà, è quanto di più antico e semplice esista. Ancor prima di iniziare a scrivere, l’uomo aveva infatti capito come fare il pane. Come, da un banale impasto di acqua e farina dimenticato in un angolo, potesse nascere un qualcosa di diverso. Certo, poi la chimica si è fatta largo tra le pieghe della fretta e della praticità, ma fino a relativamente poco tempo fa, nelle cucine delle nostre nonne il lievito madre, quello naturale, rimaneva l’elemento essenziale della dispensa, in un’epoca in cui i forni erano condivisi e il pane rappresentava l’essenza stessa del nutrimento. Al di là dei troppi fronzoli, di cui spesso oggi è investito.
Forse è arrivato il momento di riappropriarsi di questo concetto, del pane come nutrimento. Forse è una strada che si sta già percorrendo. Forse è un qualcosa che gli ultimi anni ci hanno costretto a rivalutare. O forse è un aspetto che le nuove generazioni di panificatori dovrebbero cavalcare con passione per non incorrere in scorciatoie che rischierebbero di appiattire quanto di buono c’è nel pane.
Non è semplice. Chi si è cimentato nella lavorazione delle farine con il lievito madre lo sa. Si tratta di un elemento che ha bisogno di studio, di preparazione e di ascolto. Tutto l’ambiente circostante influisce nello sviluppo di un lievito madre e nella trasformazione del suo impiego.
D’altronde, lo sappiamo: per fare un buon pane serve un buon grano, un buon lievito madre e una buona dose di pazienza. E tanto amore, come sottolineerebbero i più romantici. Ma, in fondo, questa è un po’ l’essenza del mangiare italiano.
«Bisognerebbe non lasciarsi spaventare dalle lunghe lievitazioni e dai processi necessari per la lievitazione naturale, ma anzi, dedicarcisi per ampliare la propria conoscenza e, soprattutto, il rapporto con una materia che è viva e che per questo è in grado di regalarci soddisfazioni importanti»: Petra è concorde nel seguire questo percorso e indicarlo alle nuove generazioni. Tanto da aver realizzato un impianto per la creazione di farine di cereali germogliati, che permettono una maggior facilità di utilizzo del lievito madre. «Perdonano gli errori, sono più indulgenti».
Perché spesso la scelta di utilizzare altre tipologie di lievito deriva proprio dalla paura di non riuscire ad essere economicamente sostenibili. In Italia esistono oltre ventimila panifici e la maggior parte sono piccole realtà familiari che devono lottare quotidianamente per la sopravvivenza e far quadrare i conti con il minor spreco possibile. E allora, ecco che magari si cercano strade più sicure e confortanti rispetto alla lievitazione con la pasta madre. Grazie invece alle farine di cereali germogliati questo problema può essere risolto.
Ma esattamente cosa sono le farine ottenute con la germinazione del grano? Si tratta di un processo per cui i chicchi vengono fatti germogliare esattamente fino al punto di non ritorno e poi asciugati a bassa temperatura: in questo modo vengono rilasciate sostanze nutritive e composti organici intrappolati di norma nella struttura dei semi: «I cereali e i legumi germogliati costituiscono un esempio della straordinaria capacità della natura di produrre energia, capacità che può essere sfruttata da ogni consumatore per procurarsi a basso costo cibi ricchi di principi nutritivi come vitamine, enzimi e oligoelementi, di facile assorbimento durante la digestione», spiegano ancora gli esperti delle farine Petra.
La germogliazione amplia le caratteristiche dei cereali, che acquisiscono forza, eleganza e capacità di nutrizione. E influisce anche sulla tollerabilità al glutine, in quanto, durante il processo di germinazione, le gliadine e le glutinine (le proteine che formano il glutine) si degradano e diminuiscono anche i peptidi coinvolti nella celiachia. Un vantaggio che va ad incidere su diversi aspetti: dalla lavorazione degli impasti al prodotto finito.
Un appello, quello di Petra, a riappropriarsi delle tecniche antiche, alla luce però delle nuove conoscenze che, giorno dopo giorno, si consolidano e migliorano. Un ritorno alla base, potremmo dire, coadiuvati dalla ricerca e dalla tecnologia. Tempo, passione e studio per la creazione di nuova vita… a tavola.
Questo articolo fa parte del dossier su “Il valore del tempo”, il tema del Festival di Gastronomika 2023 che si terrà a Milano dal 21 al 22 Maggio.
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