Quanto è semplice e veloce preparare un Pan di Spagna? Di quelli morbidi, ariosi, soffici e pronti per essere farciti con creme, marmellate e cioccolato? Questione di attimi, verrebbe da pensare. Una planetaria o una più pratica frusta elettrica et voilà, eccole le nostre uova montate a regola d’arte con lo zucchero. La realtà è un pelino diversa e sicuramente i tempi sono quelli più strutturati della pasticceria: in media, infatti, per montare uova e zucchero insieme servono più o meno 900 secondi. Quindici minuti. Lo dice anche Alessandra Mion, alias Frau Knam, moglie del maître chocolatier Ernst Knam, quando descrive la ricetta del suo Pan di Spagna: «Montate uova e zucchero per dieci minuti».
Non due minuti e via, ma dieci o quindici minuti per un composto realizzato a regola d’arte. Ovvero quello che fa il nastro o scrive, modi di dire per indicare il modo in cui la crema cade dal centro del cucchiaio, come un vero e proprio nastro.
E a mano? A mano quanto ci vuole? Un’eternità, probabilmente. Anche se durante qualche chiacchierata con maestri pasticceri di vecchia generazione emerge sempre l’esigenza di insegnare alle nuove leve a fare le cose all’antica: frusta a mano e il caro inseparabile olio di gomito. Che poi, è un po’ quello che facevano le nostre nonne, prive di tutti quegli aggeggi che oggi invadono le nostre cucine e ci rendono il lavoro più semplice e rapido.
La riflessione quindi nasce spontanea: quanto la tecnologia ci ha cambiato la vita? A volte l’ha resa meno faticosa e più in linea con la nostra frenesia quotidiana d’epoca moderna. La scienza e la ricerca hanno modificato il nostro modo di nutrirci, di cucinare gli alimenti, di conservarli e di ripensare totalmente la tavola. Ma hanno anche cambiato il nostro stesso rapporto con il cibo. Pensiamo, ad esempio, alle nostre abitudini attuali. In Italia passiamo sempre meno tempo ai fornelli, ma siamo ossessionati dal cibo. Prendiamo in mano il nostro smartphone dopo una giornata di lavoro, selezioniamo da applicazioni specifiche il piatto che vorremmo mangiare quel giorno e, in poco tempo, quel piatto arriva a casa nostra, pronto per essere gustato. Magari prima di aver scattato una bella foto da condividere sui social per mostrare alla nostra rete di contatti quanto è gustosa e cremosa la lasagna che abbiamo scelto per cena. E tutto questo grazie alla tecnologia, ai cambiamenti che la tecnologia è riuscita a portare all’interno della quotidianità.
Non si tratta solo del modo in cui prepariamo e cuciniamo il cibo. Si tratta di cambiamenti che hanno a che fare con la cultura, la tradizione e il modo di vivere delle persone. Da quando, per farla breve, tra il Medioevo e l’era industriale, la rivoluzione agricola ha modificato le pratiche nei campi, fino ad arrivare alle rivoluzioni tecnologiche: mangiare è diventato un qualcosa di diverso.
Ed è diventato qualcosa di più sano, anche se spesso ce ne dimentichiamo, troppo presi a dare lustro alla tradizione e alla cucina dei nostri antenati. La scienza parla un’altra lingua e la ricerca trova altre argomentazioni. Perché, ad esempio, se non avessimo scoperto che il cibo si può cuocere o conservare con una catena del freddo, beh, a conti fatti, l’umanità avrebbe ancora un’aspettativa di vita parecchio limitata.
Da una parte c’è il racconto aulico e romantico, dall’altra c’è la pratica. A casa, abbiamo dotato le nostre cucine di strumentazioni all’avanguardia, a partire proprio da quelle fruste elettriche che ci permettono di montare uova e zucchero in dieci minuti. Ma non solo: possiamo cucinare da remoto, cuocere gli alimenti con tecnologie in grado di non alterare le proprietà dei cibi e sperimentare le ricette dei grandi chef. Cambiamenti non solo tra le pareti di casa, ma anche, e soprattutto, in tutta la filiera. I ristoranti e gli chef si nutrono, è il caso di sottolinearlo, di tecnologia. Mutano il rapporto con la materia prima ed esaltano, grazie ad essa, la tradizione, trasformandola e portandola ad un livello superiore.
Eppure, in tutto questo, c’è un buco nero che fa rima con paura. La nostra, delle cose che non conosciamo e del nuovo. E, spesso, all’inizio si preferisce rinchiudere nei cassetti degli attrezzi tutto quello che la contemporaneità ci offre, per poi rendersi conto di non poterne fare a meno. Ma quel poi passa inevitabilmente per un percorso di diffidenza e occhi guardinghi. E a volte si cementifica anche nella cultura che ci portiamo dietro. Pensiamo, ad esempio, alle regole alimentari di alcune religioni, nate per dar risposta, in tempi antichi, a problematica sanitarie e sociali e che sono rimaste, negli anni, scritte nella pietra come diktat divino.
Questo, se vogliamo andare a ritroso nel tempo. Ma anche oggi le cose non stanno poi così diversamente. La ricerca, infatti, ci insegna che la nuova tecnologia deve diventare obbligatoriamente risposta e soluzione a problemi impossibili da ignorare: il sovrappopolamento sulla Terra, il cambiamento climatico, lo sfruttamento del pianeta.
Ma quelle risposte e soluzioni spaventano, perché non fanno parte del conosciuto. Ci si è abituati a comprare elettrodomestici sempre più performanti, ma guardiamo con sospetto il cosiddetto cibo digitale. Che, invece, sta andando avanti e provando a disegnare un mondo differente.
Come la stampa in 3D, ad esempio, che può realizzare alimenti di diverse tipologie e cuocerli. Certo, non è ancora una strada totalmente semplice, come dimostra anche un articolo uscito sulla rivista scientifica Npj Science of Food su uno studio della Columbia University di New York, che ha spiegato le difficoltà oggettive nella produzione di tali alimenti, ma ne ha anche delineato i benefici sul lungo termine: «Stampare il cibo può anche consentire una notevole sostenibilità ambientale. Gli ingredienti potrebbero essere reperiti e lavorati per il consumo locale, assistendo gli agricoltori locali e i fornitori di cibo. I sostenitori sottolineano anche la capacità di questa tecnologia di aiutare a produrre prodotti come carni vegetali, alghe e proteine non convenzionali a basso costo per i consumatori. Gli alimenti stampati e cotti al laser offrono inoltre ai produttori l’opportunità di prolungare la durata di conservazione, poiché il calore, la luce e l’ossigeno coinvolti nel processo possono essere controllati su scala millimetrica. Infine, anche lo spreco alimentare potrebbe essere ridotto poiché gli utenti stamperebbero solo gli ingredienti che desiderano consumare».
Indubbi vantaggi, quindi. Che però anche ora sono nell’occhio del ciclone. Basti pensare anche alle varie polemiche sulla carne coltivata (sì, chiamiamola coltivata, che sintetica non è l’aggettivo che gli si confà), che ad oggi ancora risulta essere un processo antieconomico e in via di sviluppo, ma sta provocando mal di pancia e notti insonni, soprattutto alla politica.
Quanto siamo disposti a bruciare le nostre paure all’altare della tecnologia? Quanto ad investire nella ricerca? Quanta fiducia siamo pronti a mettere nella partita? La storia dell’umanità ce lo insegna: sacrificare dubbi e timori porta sempre, alla lunga, a migliorare le nostre vite. Fosse solo per metterci meno tempo per montare uova e zucchero insieme.
Questo articolo fa parte del dossier su “Il valore del tempo”, il tema del Festival di Gastronomika 2023 che si terrà a Milano dal 21 al 22 Maggio.
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