La colpa del contaminatoIl fastidioso giustizialismo degli antimafiosi di professione

Per legge un imputato ha il diritto di non rispondere a un magistrato inquirente. Per i mass media invece, chi è parente di un boss ha l’obbligo di parlare per manifestare infedeltà alla famiglia. Essere fedeli a un criminale potrà essere brutto: ma non è vietato né punibile

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«Resta in silenzio, confermando la fedeltà della sua famiglia a Messina Denaro». Così, l’altro giorno, un servizio del Tg2 a proposito dell’arresto di Laura Bonafede, una delle “fiancheggiatrici” del boss mafioso. Dicevo qui proprio lo stesso giorno come non da oggi, ma ormai senza freno, spadroneggi l’idea e purtroppo anche la pratica di rispondere alla pretesa mafiosa con l’uso di un protocollo sostanzialmente identico: siccome quelli procedono per famiglie, ammazzandole, lo Stato dell’antimafia procede a sua volta per famiglie, arrestandole. Un protocollo ben imparato e fatto proprio, evidentemente, dall’informazione secondo cui un indagato non ha il diritto di difendersi, ma l’obbligo di parlare per manifestare infedeltà alla famiglia. 

Probabilmente al redattore di quel telegiornale, e a chi ha il compito inadempiuto di controllarne i servizi, sfugge un dettaglio: e cioè che non rispondere al magistrato che ti inquisisce è appunto un diritto, e che non è consentito a nessuno attribuire alla scelta del silenzio una colpa supplementare. 

A causa di questi fraintendimenti sta la stramaledetta cultura antimafia che ha contaminato ormai irrimediabilmente il discorso pubblico in argomento, e lo ha fatto in forza del presupposto secondo cui la cerchia familiare e amicale del mafioso può liberarsi dal sospetto che la assedia solo subordinandosi alla pretesa di confessione esercitata dal potere pubblico. Altrimenti, appunto, vuol dire che rimani fedele alla famiglia.

È evidente che quella signora, come qualsiasi presunto connivente, ben può essere responsabile dei delitti che le sono imputati, ma l’impressione è ancora una volta che per il sentimento generale e forse anche per l’approccio di giustizia la colpa del “contaminato” risieda altrove: vale a dire nel fatto stesso di avere avuto rapporti col mafioso, in buona sostanza di avergli procurato vivande e di non averlo denunciato.

Il fatto è che il delitto di ”fedeltà alla famiglia”, per fortuna, non è ancora codificato (anche se poco ci manca), e se la responsabilità penale è ancora personale bisogna stare molto attenti a non commettere un errore anche più grave del male che si vuol curare: incolpare qualcuno per ciò che è anziché per ciò che fa. Essere fedeli a un criminale potrà essere brutto: ma vietato e punibile, no.

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