Sex positiveLa pornografia online ha aiutato a sfatare i tabù sessuali, ma aliena sempre più

Un lungo approfondimento dell’Atlantic racconta il lavoro della sociologa statunitense Kelsy Burke sugli effetti di contenuti espliciti per molte generazioni di utenti

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Ogni mese circa nove miliardi di persone visitano siti o canali pornografici, dove professionisti e utenti amatoriali caricano video erotici da mandare in streaming, disponibili a qualsiasi ora e spesso a costo zero. Nel 2022 gli italiani si posizionano al sesto posto nella lista degli utenti che visitano più assiduamente Pornhub, il sito di condivisione libera di materiale video pornografico gratuito più grande al mondo, registrando anche un aumento del tempo medio di visita di nove secondi, raggiungendo i nove minuti e cinquantadue secondi, leggermente inferiore rispetto a quello della media mondiale. Ma cosa dice di noi questo fenomeno? La pornografia gratuita ci sta liberando dal bigottismo o ci sta rendendo sempre meno umani?

Come riporta un lungo approfondimento uscito su The Atlantic a firma di Laura Kipnis, a questo dilemma ha provato a rispondere la sociologa statunitense Kelsy Burke, autrice del libro “The Pornography Wars: The Past, Present and Future of America’s Obscene Obsession”. Burke analizza come Pornhub vanti di più visualizzazioni mensili rispetto alla maggior parte delle piattaforme video e social, tra cui per esempio Netflix e TikTok.

Nella porn economy i guadagni arrivano principalmente attraverso le pubblicità e i banner che compaiono su queste piattaforme, di cui beneficiano principalmente i proprietari dei siti e non i performer e nemmeno i creatori dei contenuti digitali. Discorso diverso per OnlyFans, il sito di contenuti pornografici per adulti fondato nel 2016 dall’imprenditore britannico Timothy Stokely, insieme al fratello Thomas e al padre Guy. Nella piattaforma gli utenti si possono abbonare a un canale pagando una somma che oscilla tra i 4,99 e i 49,99 dollari al mese. Ai performer è destinato l’ottanta per cento di tale somma.

OnlyFans, tuttavia, sembra essere l’eccezione che conferma la regola: il destino della maggior parte dei performer di video pornografici raramente prevede una retribuzione.

Spinta dalla curiosità e dalla volontà di capire il fenomeno più a fondo, Burke ha intervistato i content creator, utenti, attivisti ed esperti del settore. Dalla sua ricerca è emerso che la maggior parte degli intervistati (cinquantadue persone) si schierava contro i porno, mentre una minoranza (trentotto persone) si sarebbe definita “porn positive”, cioè favorevole alla produzione e alla fruizione di tali prodotti digitali.

La categoria di persone che si sono definite scettiche nei confronti dei contenuti online è composta in gran parte da uomini credenti o inseriti in programmi di recupero dalla dipendenza dai porno, sia in quanto pazienti, sia in quanto medici. Questi, sostengono che «il porno infligge del male fisico ed emotivo a chi ne usufruisce».

Tuttavia, sembra che non ci siano sufficienti evidenze scientifiche per avvalorare questa tesi: l’effettiva relazione causa–effetto tra il consumo di questo tipo di contenuti e le conseguenze neurobiologiche sugli individui rimane tutt’oggi un mistero, soprattutto considerando la difficoltà nel rimanere oggettivi quando si fa ricerca su fenomeni che coinvolgono gli aspetti morali del comportamento umano.

Altre persone ancora condannano la pornografia digitale servendosi di argomentazioni principalmente legate a concetti quali la misoginia e la mercificazione del sesso, secondo cui il piacere femminile viene messo in secondo piano, riducendo il contenuto pornografico a una sponsorizzazione di una «mera performance volta a soddisfare lo sguardo maschile»,, si legge sull’Atlantic.

Le disuguaglianze di genere, infatti, permeano anche in queste piattaforme, non solo per quanto riguarda il ruolo ricoperto dalla donna in quanto performer, ma anche in quanto fruitrice di contenuti, scoperchiando le aspettative riguardanti la sessualità femminile e i relativi tabù. Secondo il Report di Pornhub del 2022 il sessantotto per cento dei fruitori italiani è maschile, mentre solo il trentadue per cento è femminile. Nonostante sia stato registrato un aumento di tre punti percentuali rispetto all’anno precedente, il divario tra i due dati rimane significativo.

Come anche la sociologa statunitense Burke sottolinea nel suo libro «una donna che fruisce e che apprezza questo tipo di contenuti viene più facilmente patologizzata rispetto a un uomo, interpretando questo comportamento come un problema legato all’esperienza di un trauma passato». Per la controparte maschile, invece, il fenomeno non viene problematizzato così velocemente, ma bensì interpretato e fatto passare come un bisogno naturale e primordiale.

Nonostante la presenza di posizioni contrastanti riguardo alla fruizione dei contenuti porno, sembra si raggiunga un’unanimità per quanto riguarda l’impatto negativo che questo tipo di esposizione mediatica ha sull’educazione sessuale. «Parlare di contenuti pornografici è ancora un tabù», scrive Kipnis. Anche Andre Shakti, professionista ed educatore sessuale, sottolinea l’importanza di non affidare, né relegare un compito e un ruolo educativo a un contenuto che ha il mero scopo di intrattenere l’utente.

In questo senso, l’approccio sex positive si discosta da quello moralista, incoraggiando le persone a dialogare e confrontarsi, spronando soprattutto gli adulti a parlarne con i propri figli, comunicando l’importanza di fornire delle linee guida ai più giovani. È necessario, infatti, dare strumenti che li rendano in grado di comprendere la differenza tra un rapporto sessuale reale o realistico e uno più edulcorato, promosso dal porno mainstream.

Il problema, infatti, non risiederebbe nella vastità di contenuti sessualmente espliciti disponibili online, bensì nella mancanza di una preventiva formazione sessuale, che educhi al consenso e che orienti le persone nella navigazione online.

Produrre contenuti pornografici può essere, in ultimo, interpretato anche come una pratica femminista attraverso cui riappropriarsi della propria immagine, della propria sessualità, sensualità e del proprio desiderio, liberandosi dai tabù e dai ruoli di genere imposti dalla società.

Una pornografia più etica e femminista, tuttavia, rappresenta oggigiorno solamente una parte residuale della proposta dei contenuti online, diventando una categoria di nicchia, riservata a un pubblico più ricercato.

Il tentativo di promuovere una fruizione di materiale pornografico più etico incontra infatti delle resistenze a più livelli, soprattutto se si pensa che il desiderio sessuale non sempre rispecchia i valori individuali e non sempre è compatibile con la propria coscienza politica.

«Il piacere sessuale è anche immaginazione – scrive Kipnis -, tutto può accendere il desiderio, anche quando questo non corrisponde all’identità sessuale della persona. Nel 2017 Pornhub registra che il trentasette per cento dei fruitori di contenuti porno omosessuali con protagonisti maschili è rappresentato da donne».

Questo dato porta alla ribalta un altro grande tema, che, secondo l’autrice dell’Atlantic, non viene sollevato da Burke: il legame tra porno e religione. «Per certi versi, questi due aspetti sono simili – afferma Kipnis – perché simili nello scopo: quello di straniarsi dal mondo, offrendo un rifugio temporaneo in una dimensione che non ha a che fare con quella di cui facciamo esperienza nella vita quotidiana».

Da questo punto di vista, sia la religione, sia il porno offrono un’esperienza che non ha pretesa di autenticità, ma che esternalizza il bisogno di liberarsi dalla concretezza e banalità della vita di tutti i giorni, rintanandosi in un mondo noncurante del peso delle aspettative, dove le dinamiche sociali non possono arrivare e dove tutto è come vorremmo: libero, incontrollato e sempre disponibile. Insomma, un mondo che non esiste.

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