L’antiriformistaLa segreteria-staff di Schlein e l’ennesima gestione leaderistica del Pd

La segretaria del Partito democratico si è circondata di fedelissimi collaboratori che non criticheranno le sue scelte (molto simili a quelle di Conte). Che cosa succederà sull’Ucraina?

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Ai tempi della Prima Repubblica le segreterie dei partiti erano importantissime. Di norma, politicamente molto forti. Gli organismi di vertice dei partiti erano sempre in sintonia con il segretario ma mai privi di dialettica interna ed essendo agili erano in grado di prendere decisioni fondamentali in modo rapido: i giornalisti aspettavano con ansia il comunicato della segreteria del Partito comunista italiano o della Democrazia cristiana, lì era la linea. 

Negli anni a noi più vicini le segreterie sono state via via spodestate dagli staff del segretario divenuti, in un quadro di crescente leaderismo, i veri responsabili delle scelte politiche. Lo stesso Partito democratico, che pure viene dalle tradizioni sopra richiamate, è nato come un partito del leader circondato dai suoi fedelissimi collaboratori mai sospettabili di portare avanti una linea diversa da quella del segretario. Quindi da tempo la segreteria del Pd non conta politicamente nulla, essendo più o meno la squadra del leader. Sarà così anche per il vertice del Pd nominato da Elly Schlein? 

In un certo senso la segreteria schleiniana è politica e tuttavia per il modo con cui è costruita si può ipotizzare che non sarà una sede di discussione ma un coordinamento quasi tecnico ove i vari responsabili di settore rendicontano il loro lavoro settoriale. Le responsabilità infatti sono molto spezzettate: può darsi che marcare il governo misura per misura con il responsabile scuola che risponde al ministro Giuseppe Valditara, per fare un esempio, si riveli un metodo efficace almeno propagandisticamente – vedremo qualche duello tv? – ma certo è che questo modo di costruire la segreteria come insieme dei responsabili di settore – partendo cioè dai temi più che dalle personalità – sembra annichilire a priori la possibilità di una vera discussione politica. 

Schlein dunque si è dotata di uno strumento operativo che di fatto riserva a lei e al suo giro la linea politica. Come ha notato Daniela Preziosi sul Domani, non è una strada molto diversa da quella percorsa a suo tempo da Matteo Renzi – se Elly non si offende – che aveva fatto esattamente la stessa cosa, ma già prima Pier Luigi Bersani aveva guidato il Pd con i suoi fedelissimi rafforzando molto il ruolo del suo staff. 

Proprio come Renzi, inoltre, la neosegretaria del Pd ha attirato a sé iniziali opposizioni (tutta la condotta unitaria di Stefano Bonaccini di fatto elimina il rischio di una opposizione interna) e, ancora come Renzi, sembra preferire la famosa disintermediazione – a quando una vera conferenza stampa? – puntando a costruire un rapporto diretto tra sé e l’opinione pubblica. 

Nulla di nuovo: invece del partito del leader sarà il partito della leader. Ma ammettiamo che la nuova segreteria debba assumere un orientamento per esempio sulla guerra di Putin contro l’Ucraina, con Schlein finora in continuità con la linea di Enrico Letta e Lorenzo Guerini pur con qualche ma (tipo, bisogna raggiungere una tregua eccetera): un consesso con Peppe Provenzano (tra l’altro responsabile Esteri), Sandro Ruotolo, Marco Furfaro, Pierfrancesco Majorino, Alfredo D’Attorre, Alessandro Zan, Marco Sarracino, Cecilia Guerra, la stessa Marina Sereni, più i nuovi ambientalisti-pacifisti potrebbe mai assumere un posizione intransigente a favore di Kyjiv, per esempio contraria a una mediazione a cui si opponesse Zelensky? Potrebbe mai accettare l’apertura al nucleare o compromessi sulla politica industriale o ancora sulle leggi etiche? Potrebbe insomma dire dei sì oltre i soliti no?

Sono solo esempi per dire che così com’è composta si tratta di una segreteria in partenza molto schierata: non lontana dalle posizioni di Giuseppe Conte, proprio a partire dalla politica estera, e sideralmente lontana, con punte di visceralità, dalle proposte di Carlo Calenda. Lo spazio per un riformista doc come Alessandro Alfieri è davvero ridotto. E questo dovrebbe far riflettere sulla opportunità per i riformisti di essere entrati in una segreteria dove bene che vada sono cinque contro sedici, con il rischio di fare la classica foglia di fico di una donna sola al comando. 

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