Il Sol dell’imbrunireBerlusconi, Nanni Moretti e l’immutabile copione degli anni Novanta

Mentre in Parlamento riparte la grande sfida delle riforme istituzionali, la bisnonna di tutte le battaglie, ogni cosa torna al suo posto: Silvio alla guida di Forza Italia e Nanni alla guida del ceto medio riflessivo

Foto di Jørgen Håland su Unsplash

Il vecchio leone guarda in camera e ripete tutti i pezzi forti del suo repertorio, riscrivendo la storia d’Italia e persino la storia del comunismo mondiale al solo scopo di confermare le sue posizioni e il ruolo che si è ritagliato nell’una e nell’altra, il suo essere stato sempre dalla parte giusta, il suo aver sempre capito tutto prima degli altri. Lo spettacolo è autocelebrativo, stanco e ripetitivo come lui, un po’ perché lo è sempre stato (sia lui, sia lo spettacolo) e un po’ perché l’età fa questo effetto a tutti, ma i suoi fan lo esaltano ancora una volta, come sempre, senza esitazione.

A seconda di chi abbiate votato avrete capito che sto parlando dell’ultimo intervento di Silvio Berlusconi alla convention milanese di Forza Italia oppure dell’ultimo film di Nanni Moretti, ma sbagliate in entrambi i casi, perché non ho visto nessuno dei due, se non per pochi secondi, qualche spezzone qui e lì, ma il punto è proprio questo: che non avevo nessun bisogno di vederli per sapere esattamente cosa avrebbero detto. Loro e soprattutto le rispettive squadre di ammiratori e seguaci – berlusconiani da una parte, ceto medio riflessivo dall’altra – che si sono entusiasmati per l’uno e indignati per l’altro, con lo stesso trasporto con cui lo hanno fatto nel 1994 e per tutti i trent’anni successivi.

Berlusconi ricorda ancora una volta di avere sconfitto i comunisti nel 1994, con la stessa convinzione con cui lo diceva allora, dipingendo il Pds di Achille Occhetto come il Pcus di Stalin, e se stesso come nuovo De Gasperi. Moretti strappa l’immagine di Stalin da un manifesto in cui è ritratto accanto a Lenin, spiegando che è un dittatore e dunque non ce lo vuole, sulle pareti della sezione, come se Lenin invece fosse stato un primo ministro eletto democraticamente, un mite socialdemocratico, giusto un po’ fissato con l’elettrificazione.

Da anni l’uno e l’altro, Berlusconi e Moretti, continuano a raccontarsela e a raccontarcela. C’è sempre un supercattivo, furbissimo e abilissimo, annidato da qualche parte, responsabile di tutto quello che non è andato per il verso giusto, a sollevarli anche solo dall’ipotesi di avere mai avuto torto, nemmeno per un attimo. Mai Berlusconi appare sfiorato dall’idea che qualcuno possa considerare tutta quella favola della sua eroica lotta per la libertà degli italiani un modo decisamente sopra le righe di descrivere una carriera politica votata pressoché esclusivamente alla tutela dei suoi interessi personali.

Mai Moretti appare sfiorato dall’idea che se Trotzky avesse prevalso su Stalin la storia del comunismo non sarebbe cambiata granché (ci sarebbero argomenti per sostenere che sarebbe stata forse anche più cruenta, ma non divaghiamo), e figuriamoci quanto sarebbe cambiata se il Pci avesse condannato l’invasione dell’Ungheria come chiedevano i famosi 101 intellettuali (un po’ il gol di Turone della sinistra alternativa, intesa come appassionata di universi alternativi e storia controfattuale).

È tutto un farsela facile, un raccontarsi una versione a dir poco edulcorata della realtà, versione che ovviamente conferma tutti i propri pregiudizi e le proprie fissazioni, assolvendo da ogni responsabilità e risparmiando qualunque analisi autocritica. Affinché ciascuno di noi, chi uscendo dal Nuovo Sacher con pantaloni di velluto a coste e maglioni troppo larghi, chi uscendo dalla convention di Forza Italia con camicie azzurre e giacche troppo strette, possa rituffarsi con identica foga nella grande battaglia politica che ci aspetta. Quella sulle riforme istituzionali, ovviamente, la bisnonna di tutte le battaglie, proprio come ai tempi in cui Berlusconi era ancora pelato e Moretti non aveva ancora cominciato a fare i girotondi.

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