«Le riforme costituzionali non rallenteranno l’autonomia differenziata». Roberto Calderoli, ministro leghista per gli Affari regionali, lo dice in un’intervista a Repubblica. Tra le proposte che la Lega sta studiando, c’è quella del “governatorato”, cioè un presidente del Consiglio eletto direttamente sul modello delle Regioni, prevedendo però contrappesi come la «fiducia costruttiva». Ma mentre lavora alle riforme istituzionali, Calderoli non retrocede sull’autonomia: «Se si arenasse, abbandonerei la politica. Sul serio, non come disse Renzi».
«Non c’è la riforma di Meloni, bensì di tutto il centrodestra. Nel pacchetto riforme c’è sia l’autonomia differenziata che il presidenzialismo o forme simili. Devono entrambe arrivare a conclusione entro la fine della legislatura. Non sono in concorrenza», dice il ministro. «Una rafforza i poteri del governo, non accentra. E l’autonomia rafforza i poteri territoriali che sono delle Regioni».
Calderoli racconta che con la ministra Casellati non sono in competizione: «Stiamo costruendo insieme la parte delle riforme costituzionali. Ma l’autonomia differenziata non è una riforma costituzionale bensì l’attuazione della Costituzione in vigore».
Ora ci sono «tre binari da percorrere: i Livelli essenziali di assistenza (Lep) che colpevolmente dalla riforma del centrosinistra del Titolo V del 2001 nessuno ha mai scritto, indipendentemente dall’autonomia differenziata. Significa che un cittadino di Bolzano e uno di Reggio Calabria devono avere gli stessi diritti a fronte delle tasse che entrambi pagano. In parallelo entro fine anno ci sarà la legge di attuazione dell’autonomia. Comincia così il percorso, ovvero la negoziazione delle intese tra lo Stato e le Regioni che avranno il via dal 2024». Ma «se non dovesse andare in porto, abbandonerei la politica. Sul serio, non come disse Renzi».
Calderoli è ottimista: «A me girano le scatole perché è impensabile che i diritti essenziali non ci siano e che le Regioni, che lo meritino e lo vogliano, non possano gestire delle competenze spendendo meno e meglio rispetto allo Stato. Rallentamenti in commissione parlamentare non ne vedo. Sulle Regioni: non ne ho convinte quattro su 20, e queste quattro sono tutte targate Pd. Aggiungo che due, L’Emilia Romagna e la Toscana, se non avessero ricevuto ordini di scuderia, sarebbero pro autonomia».
Sulle riforme costituzionali, poi, «nel programma di governo c’è l’intesa sull’elezione diretta del presidente della Repubblica. Abbiamo ora fatto una valutazione dei pro e dei contro. Se in Italia ci fosse l’elezione diretta, il capo dello Stato diventerebbe una figura politica, non più super partes, che è il ruolo perfettamente incarnato da Sergio Mattarella. Preciso: da Mattarella, perché non sempre è stato cosi». A questo punto «la riflessione è per modifiche limitate, e il premierato potrebbe essere la strada giusta».
Ma più che «il sindaco d’Italia», il modello per Calderoli è quello del “governatore” della Regione, «ma calato nel contesto nazionale. Significa che il capo del governo è eletto direttamente dal popolo però collegato a una coalizione di governo che gli garantisca una maggioranza certa in entrambe le Camere. Il principio del premier eletto deve essere controbilanciato dal ruolo del Parlamento, pertanto occorrerebbe introdurre la “fiducia costruttiva”, ovvero solo la maggioranza che ha espresso il premier, ha la possibilità di trovarne un altro, in casi particolari».
Intanto a Calderoli, autore del Porcellum, è pronto a scrivere una legge elettorale collegata. «Se me lo chiedono, ho in testa come potrebbe essere, ma non ci tengo ad occuparmene. Comunque prima viene la riforma costituzionale».