«Il Mes può essere utilizzato anche per interventi di politica industriale». Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, lo ha spiegato parlando a Metropolis, il programma streaming delle piattaforme Gedi. Mentre dall’Ecofin è arrivato il «no» al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a utilizzare il Meccanismo europeo di stabilità come moneta di scambio per ottenere qualcosa su altri tavoli negoziali, come la riforma del Patto di Stabilità o l’introduzione della garanzia europea sui depositi bancari, Bonomi è realista.
«Il Mes già esiste come accordo. Abbiamo già versato 14 miliardi di euro. Quello di cui si parla oggi è la ratifica della riforma del trattato», spiega il capo degli industriali. «Però il Mes già così com’è esiste. Prima è stato focalizzato come Salva-Stati, poi sugli interventi sanitari, poi adesso per salvare le banche. Ed è la Germania che spinge in quella direzione, perché hanno un chiaro interesse. Se noi vogliamo avere un interesse, allora spingiamo verso questo punto». Per il presidente di Confindustria, l’Italia ha «bisogno di transizione. Se modifichiamo il Mes per orientarlo verso la transizione energetica ed ecologica, e non solo sul salvataggio degli istituti di credito, allora il governo può essere condivisibile. Perché abbiamo bisogno di politiche industriali. Credo che se il governo fa questo tipo di percorso è condivisibile e anche nell’interesse nazionale».
Per Bonomi, il ministro Giorgetti si sta muovendo bene: «Direi di sì. Noi abbiamo bisogno e abbiamo interesse di strumenti verso la transizione energetica. L’Europa ci sta portando a transizioni importanti. Solo per il green Bruxelles prevede investimenti per 3.500 miliardi, se vogliamo agganciare gli obiettivi che ci siamo dati. Per l’Italia vuol dire 650 miliardi, ma nel Pnrr ci sono tra i 60 e 70 miliardi e questo vuol dire che tutto il resto lo devono fare imprese e famiglie. Noi non li abbiamo e non possiamo permetterceli. Ma se possiamo prenderli dal Mes, perché dirci di no?».
Come si tradurrebbe? «Significa creare filiera per queste transizioni importanti. Basti pensare al green e all’energia, dove la speculazione è arrivata ben prima della guerra. Siamo un Paese trasformatore, non abbiamo materie prime. Non possiamo prendere queste risorse dal Pnrr: l’alternativa è l’indebitamento».
Resta sospeso il giudizio sul progetto riguardante il Ponte sullo Stretto: «È un’opera importante se all’interno di un piano infrastrutturale per la Calabria e la Sicilia. Il Ponte deve essere parte di un progetto complessivo. Bisogna mettere in campo una serie di investimenti infrastrutturali. Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha detto che condivide questa visione. Speriamo che si persegua questa strada».
Mentre sul fondo sovrano per il Made in Italy, atteso dal consiglio dei ministri di domani, mette in guardia: «Se venisse istituito un fondo nazionale di supporto alle aziende o alle filiere che noi riteniamo strategiche, va benissimo. Viceversa, se il tema è nazionalizzare l’economia, ecco, allora proprio non ci siamo».