La neutralità del maleLa guerra senza confini all’Ucraina e la nube tossica pacifista sull’Italia

Quelli che si dicono contrari al sostegno militare a Kyjiv non ritengono le armi il mezzo sbagliato per risolvere il conflitto: ritengono che sia un problema confinato nello spazio dell’impero post sovietico, e se nessuno si impiccia non ci saranno effetti al di fuori di quei territori

AP/Lapresse

Come è noto l’opinione pubblica italiana è, tra quelle europee, una delle meno inclini al sostegno militare dell’Ucraina contro l’aggressione russa. Quindici mesi di massacri non hanno scalfito e neppure infiltrato un senso comune pacifista diffuso e sigillato da un pregiudizio rossobruno trasversale contro le «guerre americane».

Che dietro questo pacifismo non ci sia, né ci sia mai stato nella storia politica italiana, alcun rifiuto assoluto e moralmente incondizionato dell’uso delle armi non lo dimostra solo l’affiliazione di tutti i gruppi della variegata galassia “Yankee go home” a partiti e ideologie lontanissime dalla religione della nonviolenza e assai disposte, invece, a riconoscere e difendere la forza maieutica della violenza politica.

Lo dimostra anche il concreto sostegno pacifista a tutte le resistenze anti-imperialiste che la storia politica del dopoguerra abbia prodotto ai quattro angoli della terra. Ai tempi della guerra in Vietnam, nelle manifestazioni dell’Anpi – pure ai tempi schierate su piattaforme pacifiste e disarmiste in funzione anti-Nato – si applaudiva la resistenza indipendentista dell’Indocina rossa, non si implorava in nome della pace il disarmo dei vietcong.

Anche nella destra post-fascista e in quella democristiano-qualunquista – in un caso tanto ostile al nemico americano quanto compromessa con il militarismo nazionalista post saloino e nell’altro caso andreottianamente oscillante tra obbedienze atlantiste e ruffianerie filosovietiche – non è mai esistita nemmeno la traccia di quel pacifismo nonviolento di stampo gandhiano o capitiniano che oggi sembra d’incanto diventato il denominatore comune di tutti i pacifisti per Putin. E lasciamo perdere l’oltraggio a Gandhi e Capitini, nel farli diventare gli alfieri del «meglio schiavi che morti».

La contrarietà rispetto al sostegno militare alla resistenza ucraina non riguarda affatto una diversa valutazione dei mezzi, ma proprio un diverso apprezzamento dei fini. I pacifisti italiani – quelli militanti e soprattutto quelli silenziosi in un malmostoso scontento – non pensano affatto che i mezzi militari non siano adatti a perseguire obiettivi democratici per l’Ucraina e per la Russia e a propiziare un cambiamento all’insegna della libertà e della sicurezza di un Paese che, dalla sudditanza a Mosca nel periodo sovietico e post sovietico, ha guadagnato carneficine e umiliazioni.

Pensano proprio che questi, in sé, non siano fini desiderabili e che come obiettivi politici non riflettano il nostro interesse nazionale, ma al contrario compromettano l’Italia in una guerra che non le appartiene. Pensano insomma che si tratti di un conflitto naturalmente confinato nello spazio dell’impero post sovietico, che gli impiccioni anglo-americani hanno trasformato in un vespaio internazionale e che cesserà di estendere i propri malefici effetti fuori dall’Ucraina nel momento in cui chi sta fuori dall’Ucraina finirà di occuparsene.

Il sondaggio più impressionante a proposito dell’opinione degli italiani sulla guerra all’Ucraina non riguarda il parere sulla fornitura delle armi, ma quello circa l’autocollocazione di chi risponde alla domanda “Da che parte stai?”. Dall’inizio della guerra, senza nessun cambiamento, sta dalla parte della Russia l’otto per cento degli italiani, dalla parte dell’Ucraina il 45-46 per cento e non sta “da nessuna delle due parti” il 46-47 per cento (Ipsos, pag 15).

Anche in questo caso, dietro il neutralismo non c’è solo cinismo morale, ma in primo luogo accecamento ideologico. Con questa reiterata affermazione di neutralità, è come se si affermasse che l’errore e la colpa è di avere globalizzato una guerra locale, mentre l’errore e la colpa in termini politici è esattamente quella opposta: di pretendere di localizzare una guerra senza confini, condotta con le risorse limitate di uno stato mafioso fallito con un dispositivo di omicidio-suicidio nucleare, che punta al cuore della democrazia politica occidentale e che colpisce l’Ucraina in primo luogo perché considerata la testa di ponte euro-atlantica verso il grande spazio vitale russo.

Ieri Vladimir Putin ha provato a spaventare l’Europa annunciando l’arrivo di una tempesta radioattiva dall’Ucraina, per il bombardamento russo delle armi all’uranio di Kyjiv. Ma il neutralismo dell’opinione pubblica italiana dimostra che la vera nube tossica putiniana, spinta dal vento del Cremlino sui cieli dell’Occidente, è stata e continua a essere quella informativa. Come il giorno prima della guerra, la maggioranza degli italiani continua a pensare che la libertà dell’Ucraina sia solo un pretesto per una guerra per procura e a rafforzare questa convinzione è proprio quello che gli italiani hanno imparato per decenni a pensare, con sospetto, pregiudizio e ostilità, della libertà politica occidentale.