Scaricabarile migratorioTra Italia e Francia il solito gioco, ma le accuse di Darmanin sono tutte vere

Può darsi che il ministro dell’Interno di Macron abbia usato la retorica cattivista in maniera puramente strumentale per non perdere la faccia e la poltrona. Ma, in fondo, è quello che fa la destra dalle nostre parti da molto tempo

AP/Lapresse

Chi ha memoria dello scoppiettante inizio della legislatura ricorderà il caso della Ocean Viking, la nave della Ong francese Sos Mediterranée, a cui l’Italia rifiutò un porto di sbarco per i suoi duecentotrentaquattro malconci passeggeri e che fu costretta a tornarsene, per così dire, in patria. «Bene così! L’aria è cambiata» festeggiò sui social Matteo Salvini e la ritorsione francese non si fece attendere, con il blocco dell’accordo di redistribuzione volontaria di tremilacinquecento richiedenti asilo sbarcati in Italia e destinati in Francia e il rafforzamento del controllo alla frontiera di Ventimiglia.

Che dunque nello scaricabarile migratorio tra Francia e Italia, memore degli esordi, il ministro degli Interni francese Gérald Darmanin non voglia essere quello che ci rimette la faccia e la poltrona è del tutto comprensibile.

In difficoltà in patria, attaccato da Marine Le Pen e incline di suo a una retorica “cattivista” – particolarmente redditizia nella vecchia Europa messa così male da temere di più i nuovi boat people che il nuovo Hitler e più le navi di Medici Senza Frontiere che i carri armati della Wagner – Darmanin ha attaccato Giorgia Meloni, che nel frattempo, proprio nelle stesse ore, provava a contendergli i favori di Khalifa Haftar. Embè?

Non è vero che questo Governo è in balia degli sbarchi esattamente come i governi precedenti e che governa pragmaticamente l’eccesso degli afflussi con un sovrappiù di deflussi (anche verso la Francia) altrettanto incontrollati? Non è vero che Meloni aveva promesso che col suo arrivo a Palazzo Chigi sarebbe cambiato tutto?

Non bisogna affatto pensare che Darmanin sia in buona fede e non anche lui – come molti suoi omologhi – solo interessato a scansare la responsabilità delle azioni e delle omissioni e a riversarne il peso oltre confine, per concludere che l’accusa a Meloni di essersi dimostrata incapace di fare quanto aveva promesso – blocco navale, frontiere chiuse, ingressi azzerati – è provata non solo dai numeri degli sbarchi in Italia, ma anche dagli alibi grotteschi che la maggioranza di destra continua ad invocare per giustificare il proprio fallimento.

Cosa sarebbe successo di così eccezionale dal 25 settembre a oggi da impedire a Meloni, Salvini e Matteo Piantedosi di far quello che prima accusavano Mario Draghi e Luciana Lamorgese di non sapere o addirittura di non volere fare?

Far credere che i flussi migratori legati alle crisi politiche e umanitarie disseminate attorno al bacino del Mediterraneo fossero fronteggiabili a forza di respingimenti e rimpatri è stata la sostanziale ragione del successo politico-elettorale della destra italiana dall’inizio degli anni 2000. Che qualcuno faccia notare la contraddizione non è oltraggioso per l’Italia, visto che è vero, anche se non conviene illudersi che si riveli salutare.

Denunciando in questo fenomeno planetario un dispositivo di distruzione e di annientamento dell’Italia e quindi in ogni barcone il cavallo di Troia della sostituzione etnica, economica e politica orchestrata dall’Europa “usuraia”, si è costruito non solo un racconto propagandistico efficace, ma anche la sola pedagogia politica, che la destra italiana abbia saputo concepire con ambizioni e esiti egemonici. Il “popolo della destra” si è costruito attorno al totem di una sovranità frustrata e al tabù di una invasione immaginata. Sarà molto difficile riconvertire questo consenso senza sfidarne il cuore irrazionale: è comunque cosa politicamente molto più complicata di un fact-checking.

Intanto, però, sarebbe bene non offrire alcuna sponda alla costernazione e allo scandalo per la presunta offesa francese.

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