Ormai è una scena fissa e imbarazzante. In tutte le conferenze stampa, sempre più rare, e negli incontri in cui Giorgia Meloni è al centro delle domande dei giornalisti o del tema del giorno, Matteo Salvini inforca gli occhiali e sprofonda nello schermo del suo cellulare. Come se lui non ci fosse. Ogni tanto scuote la testa, alza lo sguardo, spesso sconfortato, per essere lì a perdere tempo con i giornalisti petulanti mentre lui ha operai e muratori in giro per lo Stivale a ristrutturare Casa Italia. Il Capo Cantiere non ha un minuto da perdere, neanche quando la presidente del Consiglio a Cutro parla di morti e naufragi né quando discute con le opposizioni della «madre di tutte e riforme».
Il capo leghista ieri è arrivato in ritardo all’incontro di Montecitorio, ha compulsato i messaggi sul telefonino per tutto il tempo ed è filato via improvvisamente, guarda caso, appena Elly Schlein ha preso il discorso dell’autonomia differenziata che dovrebbe essere messa sul tavolo del confronto. Una semplice coincidenza, certo, perché c’è sempre un ponte da costruire, un tunnel da fare, una strada da completare. Così come una coincidenza erano le dichiarazioni che nelle stesse ore il capogruppo leghista Molinari rilasciava al piano di sotto, nel transatlantico della Camera, sul presidenzialismo che fa parte sì del programma di governo, ma non può condizionare i tempi dell’autonomia differenziata che lo stesso Salvini vorrebbe portare a casa prima delle elezioni europee.
A parte l’argomento tanto caro ai potenti governatori della Lega, il ministro delle Infrastrutture considera questa apertura del dialogo sulle riforme costituzionali una perdita di tempo. Perché ha la certezza che alla fine un accordo non si troverà con i partiti dell’opposizione e, senza maggioranza assoluta, si dovrà per forza approvare le modifiche della Carta con il referendum previsto dall’articolo 138, con il rischio di incappare nella maledizione che colpì e affondò Silvio Berlusconi ai tempi della devolution e poi Matteo Renzi. Se poi tutto questo ambaradan dovesse allungare i tempi all’autonomia differenziata, allora per Salvini è veramente assurdo.
È meglio occuparsi di cose concrete, di opere pubbliche. Non delle solite chiacchiere senza fine. E per contrapporre al cantiere delle riforme costituzionali quello delle infrastrutture, il ministro ieri ha convocato i sindacati: nel suo ufficio a Porta Pia ha illustrato, con tanto di cartine dettagliate distribuite ai sindacalisti, il Cantiere-Italia.
«Questa – ha detto al termine dell’incontro – è stata una mattinata densa di contenuti e concretezza. L’inizio di un cammino di incontri. Oggi abbiamo parlato di tutto, anche di codice degli appalti di sicurezza nei cantieri, ma soprattutto di come creare lavoro. Sommando gli interventi in corso, tra ferrovie e strade, cantieri aperti per opere nuove e di manutenzione, siamo a cinquanta miliardi di lavori pubblici nel 2023». Poi ha pure annunciato che il Ponte sullo Stretto sarà transitabile nel 2032, «se tutto va bene», ha aggiunto scaramantico. Perché lui ci vorrà essere quando la prima vettura metterà la gomma sull’asfalto fresco sospeso sul mare tra Calabria e Sicilia. Per esserci però il centrodestra dovrà governare questa e anche la prossima legislatura.
Grandi le ambizioni del Capo Cantiere, che lascia volentieri la scena delle riforme istituzionali a Meloni perché è convinto che con il cemento si fanno i voti. E lui di voti ne deve recuperare tanti se vuole ambire alla corsa per la premiership che si scatenerà nel centrodestra. A maggior ragione se dovesse venir fuori una riforma con l’elezione diretta del premier. Cosa poco probabile. Ma a Salvini queste discussioni non interessano: che sia Meloni a logorarsi su un tema che annoia i cittadini mentre lui promette di modernizzare le infrastrutture dell’Italia e pure con il consenso dei sindacati, gli stessi che hanno scioperato nei giorni scorsi nelle piazze contro il decreto lavoro.