«Non è la prima volta che succede, non è la seconda e nemmeno la terza». Basterebbe questa frase, scritta sui suoi canali social da Vinícius Júnior, per rendere adeguatamente l’idea dello stato del razzismo nel calcio spagnolo. Se la Serie A è spesso al centro di polemiche legate a cori discriminatori (come si è visto nei recenti casi di Lukaku e Vlahović), la Liga non è purtroppo da meno. Ed è in particolare l’attaccante brasiliano del Real Madrid la vittima preferita dei tifosi razzisti di Spagna: in quasi ogni stadio in cui si reca a giocare, c’è sempre qualcuno che gli urla «scimmia».
La lista è impressionante, anche solo in quest’unica stagione: a settembre i tifosi dell’Atlético Madrid cantavano «Vinícius è una scimmia» fuori dal proprio stadio, prima di un derby; a dicembre gli stessi insulti arrivarono dai tifosi del Real Valladolid; a febbraio è toccato a quelli del Maiorca; domenica sera, infine, Valencia si è aggiunta alla mappa.
Ma il problema va ben oltre i tifosi, e basta leggere l’intervista che lo scorso febbraio il difensore del Cadiz Juan Cala ha rilasciato a Relevo: alla domanda se ci sia razzismo nel calcio spagnolo, ha risposto candidamente di no. Nel 2021, Cala era stato accusato di aver riferito insulti razzisti a Mouctar Diakhaby del Valencia, e pochi mesi fa, a proposito di quei fatti, ha dichiarato: «Sono un cittadino spagnolo con diritto alla presunzione di innocenza e ad essere ascoltato. Questo sì che è razzismo, approfittarsi di un fatto del genere per vendere copie».
Provocazioni e razzismo
Il fatto che Vinícius sia così spesso vittima di questi episodi si porta appresso una narrazione tossica che finisce per circolare molto sui social anche al di fuori dell’ambito spagnolo, ad esempio tra i tifosi italiani. Ovvero che il brasiliano non sia insultato per il colore della sua pelle, ma in quanto provocatore. La stessa cosa che, qui da noi, è stata detta di Balotelli, di Kean, e di Lukaku. Lo ha detto in tv lo scorso settembre il noto procuratore Pedro Bravo, e la stessa cosa aveva detto proprio Cala nella sua intervista a Relevo: «È per il suo modo di giocare, non per il suo colore».
Sembra banale dover ripetere che il fatto stesso di utilizzare epiteti razzisti per insultare un giocatore, invece di qualsiasi altro insulto più neutro, è implicitamente un segno di razzismo. Ma la verità è che la notorietà del brasiliano e la frequenza degli episodi che lo coinvolgono distolgono l’attenzione da tutti gli altri, che non sono certo pochi.
A marzo Antonio Rüdiger è stato vittima di discriminazioni; a febbraio è successo nei confronti di Samu Chukwueze; ad aprile a Nico Williams; e nelle passate stagioni cose simili sono accadute a Iñaki Williams e ad Ansu Fati, offeso addirittura sulle pagine di Diario Abc. Quindi, non è solo Vinícius e non è solo questione di atteggiamento del giocatore.
Quanto accaduto al Mestalla di Valencia ha tutte le potenzialità per diventare il nuovo caso emblematico del calcio spagnolo, viste le reazioni che ha sollevato. Diversi giocatori e giornalisti stanno condannando l’accaduto, e anche Carlo Ancelotti, tecnico del Real Madrid, ha usato parole particolarmente dure.
«La Liga ha un problema. Sono curioso di vedere cosa succederà adesso», ha dichiarato nel post-partita e quando la giornalista gli ha domandato che conseguenze si attendesse ha precisato «Nessuna». Il suo attaccante è tornato ad accusare la Liga di non fare abbastanza su questo fronte e di abbandonare le vittime, e la risposta che i vertici del campionato spagnolo gli hanno dato mette in luce un altro aspetto del problema.
Lo specchio della politica
«Siccome quelli che dovrebbero spiegarti cos’è e cosa può fare la Liga contro il razzismo non lo fanno, abbiamo cercato di spiegartelo noi, ma tu non ti sei presentato a nessuno degli incontri che avevi richiesto. Prima di criticare e insultare la Liga, è necessario che ti informi correttamente». Queste parole sono state scritte su Twitter, come replica a Vinícius, dal presidente del campionato spagnolo Javier Tebas, che già lo scorso dicembre, dopo il caso contro il Valladolid, aveva risposto al brasiliano definendo «ingiuste» le sue accuse alla Liga di non fare nulla contro il razzismo.
Nel 2020, per dichiarazioni non più gravi di queste, Greg Clarke era stato costretto a dimettersi da presidente della Football Association. Difficile immaginare che Tebas possa seguire lo stesso destino, così come a suo tempo nessuno in Italia chiese conto a Carlo Tavecchio delle sue dichiarazioni razziste.
Nel Paese con uno dei governi più a sinistra d’Europa, l’estrema destra xenofoba è un problema crescente: alle elezioni del 2019 i neofascisti di Vox avevano conquistato il quindici per cento dei voti, diventando il terzo partito. Un risultato che la formazione di Santiago Abascal punta a confermare nelle prossime elezioni del 28 maggio, con la speranza di potersi alleare al Partido Popular ed entrare così nella maggioranza di governo.
Forse non sorprenderà nessuno, a questo punto, scoprire che tra i principali sostenitori di Vox c’è proprio Javier Tebas. Già militante del partito estremista Fuerza Nueva negli anni Ottanta, un anno fa il presidente della Liga aveva rivelato di votare per il movimento nostalgico del Franchismo: «Si dicono cose di noi per cui, personalmente, mi sento offeso: razzisti, xenofobi… Quando la maggior parte degli elettori di Vox non sono niente di tutto questo».
Il quadro, per quanto possa sembrare cupo, è in realtà abbastanza chiaro: uno dei campionati con il più serio problema di razzismo in Europa è presieduto da un uomo che sostiene un partito razzista e preferisce attaccare le vittime di discriminazione piuttosto che i responsabili.
Ma come al solito, in questi casi, l’estrema destra è più altro la spia e non la causa primaria del problema. La mancanza di una solida cultura antirazzista in Spagna emerge dal mondo del calcio in tutta la sua forza.
Accanto a Tebas, fanno discutere le parole di Borja Sanjuan Roca, portavoce del Psoe a Valencia e tifoso valenciano, che su Twitter, dopo una veloce condanna generale del razzismo, si è sentito in dovere di contestare le parole di Ancelotti (accusato di aver incolpato l’intero stadio Mestalla degli insulti a Vinícius), definendole «bugie» e accusando l’allenatore italiano di aver parlato così solo perché protetto «dal potere mediatico di Madrid».