Tentazione manzonianaPerché il Governo non può (e non deve) decidere il prezzo della pasta

Il ministro del Made in Italy Adolfo Urso ha convocato una commissione per analizzare una possibile speculazione sul prezzo di spaghetti e fusilli. Ma è l’Antitrust, e non il Governo, a dover accertare gli abusi e nel caso intervenire. L’editoriale dell’Istituto Bruno Leoni

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La pasta costa troppo? Cucineremo il risotto! Verrebbe da rispondere così alla notizia che il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha convocato la Commissione di allerta rapida e il Garante dei prezzi per esaminare i rincari della pasta. L’incontro si svolgerà giovedì e potrebbe innescare una ondata di controlli della Guardia di finanza contro la “speculazione”. Ma, prima, i tecnici del ministero dovranno rispondere alla domanda perché spaghetti e fusilli a marzo 2023 costavano il 17,5 per cento in più di un anno fa, mentre la materia prima è diminuita di prezzo.

Una risposta sola non esiste, ma ciò non significa che vi siano motivi occulti e misteriosi. Un primo punto riguarda il fatto che l’incremento osservato oggi è il frutto di una crescita graduale dei prezzi, nel corso dell’ultimo anno, segnato da un’inflazione generalizzata e, checché se ne dica, non limitata alle sole materie prime. Il secondo elemento è che non di solo grano è fatta la pasta: non a caso sui costi di produzione incide molto l’energia, i cui costi rimangono sostenuti sebbene lontani dai picchi del 2022. 

Il terzo è che l’effetto degli incrementi nei costi degli input (quali, appunto, frumento ed energia) non si trasferiscono immediatamente sui prezzi degli output: spesso le aziende si sforzano di difendere i volumi venduti, rinunciando a una parte dei margini, per smorzare gli aumenti. Ma, in ultima analisi, non si tratta di spiegare analiticamente le cause degli incrementi ma di capire come funziona il mercato e qual è, in tale contesto, il ruolo che può utilmente giocare il Governo.

La risposta è semplice ed è: nessuno. O almeno così dovrebbe essere. Il ministero fa bene a monitorare i mercati e a raccogliere e diffondere dati. Ma delle due l’una: o gli aumenti dipendono da condotte illecite (per esempi cartelli o altri comportamenti collusivi) oppure no. Nel primo caso, è l’Antitrust – non il ministero – a dover accertare gli abusi e intervenire. Nel secondo, siamo di fronte al decorso fisiologico di un incremento generalizzato del livello dei prezzi, dovuto sia a cause esogene (l’energia) sia endogene (la politica monetaria e fiscale degli ultimi anni). Il Governo, mai come in questo caso, è più parte del problema che parte della soluzione. 

Alimentando, seppure solo a scopi retorici, la percezione di poter “fare qualcosa”, il Governo non fa altro che peggiorare le cose, intorbidendo le acque e determinando nell’opinione pubblica quella sensazione che ci sia qualcosa da nascondere che abbiamo già osservato tante volte (solo poche settimane fa, per esempio, in relazione ai carburanti, i cui rincari erano dovuti semplicemente alla fine degli sconti fiscali).

Se l’esecutivo vuole dare un segnale, dovrebbe semmai abolire la figura ambigua di Mister Prezzi, rendendo esplicito ciò che tutti sanno, cioè che esso non ha (per fortuna) alcun potere di fissare o influenzare i prezzi dei prodotti. Come sappiamo benissimo quando agiamo da consumatori e non ci occupiamo di politica, i rincari sono un’informazione preziosa: taluni beni sono relativamente scarsi rispetto alla domanda. La reazione razionale non sta nell’emanazione di grida manzoniane, ma nella riduzione del consumo dei beni scarsi e nella loro sostituzione con altri relativamente più abbondanti.

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