«Anche questa è fatta». La sera del 23 marzo 1849 i resti dell’esercito piemontese ripiegavano ormai senza speranze verso Torino. La battaglia era finita e gli Austriaci avevano avuto la meglio. Le porte di Novara si aprivano alle truppe imperiali. Era la conclusione della Prima Guerra di Indipendenza. «Anche questa è fatta», ripeteva fra sé il vecchio generale. Johann Josef Wenzel Anton Franz Karl Graf Radetzky von Radetz aveva 82 anni. Per gli italiani era semplicemente Radetzky. Per i suoi soldati, che lo idolatravano, era vater Joseph, papà Giuseppe. E vater Joseph a questo punto era stanco e affamato.
Agli ufficiali che gli si facevano intorno per congratularsi per la vittoria, l’ennesima della sua straordinaria carriera, rispondeva con qualche sorriso. A metà del pomeriggio era sceso da cavallo e si era sistemato su una più comoda carrozza. «Grazie a tutti e complimenti a voi e ai vostri reparti». Una pausa e poi, rivolto all’aiutante di campo: «Colonnello, ho fame. Si trova qualcosa da mangiare? Ma subito». Facile a dirsi. Decisamente meno a farsi. La giornata era stata lunga e complessa. La battaglia era iniziata poco prima di mezzogiorno ed era continuata fra avanzate e rallentamenti. In qualche momento le sue truppe avevano anche dovuto ripiegare. La resistenza dei Piemontesi lo aveva stupito e soltanto dopo il tramonto era riuscito ad averne ragione. «Eccellenza – tentò di rispondere l’ufficiale – appena rientriamo al Comando le sarà servita la cena». Lì avrebbe potuto mangiare come piaceva a lui: magari con un bel piatto di speckknodeln e una bottiglia di Bordeaux. Tutti sapevano quanto il feldmaresciallo amasse la buona cucina.
Quella sera però l’idea di aspettare non gli andava per nulla a genio. Durante il giorno non era riuscito a mettere sotto i denti assolutamente niente e il suo stomaco reclamava con grandi borbottii. «Ho detto in fretta, colonnello. Anzi direi subito». Radetzky amava i suoi soldati e i suoi ufficiali. Cercava sempre di trattarli con modi civili, ma quando diceva una cosa, quella doveva essere. Tentennamenti e rifiuti non erano previsti. Al colonnello non rimaneva che trovare una soluzione immediata. E scoprì che era lì, a portata di mano. La passione del Feldmaresciallo per le cotolette era nota a tutti, ma anche il gorgonzola rientrava fra le prelibatezze lombarde più apprezzate. Molti anni prima – raccontavano a Milano – quando aveva scoperto quel particolarissimo stracchino, se ne era talmente innamorato da mandarne una forma intera alla moglie, a Vienna, con un biglietto di accompagnamento che ne decantava il gusto fantastico e invitava la consorte a un pronto assaggio. E anche negli anni seguenti, Giuditta Meregalli, la compagna e madre dei suoi quattro figli milanesi, non mancava mai di proporglielo: da solo o come fondente condimento degli gnocchi.
Così, in piena campagna, fra cascine e fienili, era possibile trovare la soluzione al problema: due belle fette di pane, ben spalmate di burro, e una abbondante porzione di gorgonzola. Un panino campagnolo, semplice e gustoso, subito recapitato al generale insieme a una bottiglia di rosso locale. Inutile dire che fu un successo. Mentre la carrozza lo riportava senza fretta verso la sede del quartier generale, vater Josef apprezzò l’idea di quello strano aperitivo. «Ottimo», disse al colonnello. «E adesso si torna a Milano». Poi, fra sé e sé: “Pensare che giusto un anno e un giorno fa avevamo dovuto andarcene…”.