Riforme senza l’opposizioneLa maggioranza apre a proposte e correzioni, ma niente diritto di veto

Domani l’incontro tra la premier Meloni e le opposizioni. Calderoli dice: «La sinistra e Conte dovrebbero prendere atto che hanno perso le elezioni. Però, diversamente da quello che è accaduto in passato – quando loro facevano tutto senza coinvolgere le opposizioni – questa volta qualcuno chiede il loro coinvolgimento su riforme che riguardano la vita del Paese e dei cittadini. Se hanno maturato il lutto, bene. Se no, se ne riparla tra cinque anni»

A 24 ore dal vertice convocato dal governo con le opposizioni in merito alle riforme istituzionali, le posizioni appaiono molto lontane. Il Movimento Cinque Stelle, con Giuseppe Conte, conferma l’asse col Pd sul no all’elezione diretta del presidente della Repubblica o del Consiglio e il sì a un’ipotesi di rafforzamento dei poteri del premier, sul modello tedesco. Dal lato del governo, il vicepremier Antonio Tajani, pur auspicando il dialogo, avverte: «Se l’opposizione farà muro, noi andremo avanti lo stesso, poi ci sarà il referendum». La maggioranza, come aveva preannunciato la premier Giorgia Meloni già in campagna elettorale, è pronta a fare da sola.

«Autonomia e presidenzialismo avanti tutta. Io sono il più convinto sostenitore di entrambe le riforme», dice il ministro agli Affari regionali Roberto Calderoli al Corriere. «La sinistra e Conte dovrebbero prendere atto che hanno perso le elezioni. Però, diversamente da quello che è accaduto in passato – quando loro facevano tutto senza coinvolgere le opposizioni – questa volta qualcuno chiede il loro coinvolgimento su riforme che riguardano la vita del Paese e dei cittadini. Se il loro ruolo vuole essere esercitato soltanto come diritto di veto, non ce l’hanno. Io suggerisco loro di fare proposte e correzioni. Se hanno maturato il lutto, bene. Se no, se ne riparla tra cinque anni».

Secondo Calderoli, «se ci fosse una vera disponibilità dell’opposizione a discutere di riforme, di presidenzialismo», si potrebbe anche istituire una Commissione bicamerale. «Ma viste le esperienze del passato, non sono poi così ottimista: nessuna ha mai prodotto risultati. Alla luce delle risposte che verranno date dall’opposizione, si potrà decidere se c’è uno spazio oppure no».

E se non ci fosse? «Articolo 138 della Costituzione: il Parlamento approva le modifiche alla Costituzione con due deliberazioni a maggioranza assoluta», risponde il ministro.

Ma anche in maggioranza non si sono ancora del tutto chiarite le idee. Mentre Meloni non ha ancora sciolto il nodo presidenzialismo-premierato, Forza Italia si dice più orientata sulla seconda opzione, l’elezione diretta del capo del governo. Sarebbe «la soluzione più gradita alla maggioranza dei partiti», sostiene Antonio Tajani.

Anche la Lega interviene sul punto: Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli Venezia Giulia e presidente della Conferenza delle Regioni in quota Carroccio, ha fatto sapere di avere scritto alla premier per chiedere un incontro sulle riforme. Ma è un messaggio anche per dire che non si può accelerare sul presidenzialismo, cavallo di battaglia dei meloniani, senza assicurare un iter veloce all’autonomia differenziata cara a Salvini.

Dopo il varo in Cdm, la riforma di Calderoli è approdata in Senato. Domani si insedia anche il Comitato tecnico scientifico sui livelli di prestazione (Clep) presieduto da Sabino Cassese. Ma i governatori di centrodestra del Sud mettono le mani avanti. dalla convention milanese di Forza Italia, il presidente della Sicilia, Renato Schifani, ha detto: «Il sì all’autonomia non è definitivo».

Dall’opposizione, intanto, l’unica sponda a Meloni potrebbe arrivare dal Terzo polo, che domani si presenterà con una delegazione unitaria, Azione-Italia viva. A patto che, ha ricordato ieri Carlo Calenda, «non si tocchi la figura del Presidente della Repubblica». Mentre c’è un sostanziale sì «a rafforzare i poteri del premier» e magari avanzare un ragionamento sul «monocameralismo». Fra i centristi, l’ala renziana preferirebbe il modello del “sindaco d’Italia”, con ballottaggio. Maria Elene Boschi in un’intervista a Libero dice: «Oggi il Pd dice no al sindaco d’Italia, ma D’Alema voleva il semipresidenzialismo alla francese. Spero che il Pd si confronti sulla realtà, e non dica no a prescindere solo perché dall’altra parte del tavolo c’è la Meloni».