Dal sogno alla realtà Alla ricerca dei selfie immaginifici del prodigio dell’arte argentina Leandro Erlich

L’artista basa il suo successo sulle illusioni ottiche e l’interazione con il pubblico. Dietro questa marcata fotogenia, si celano un approccio alla realtà e un ammiccamento al mercato dell’arte che ha sempre funzionato. Da dieci anni, infatti, ripropone le sue opere più celebri nei maggiori musei del mondo

Leandro Erlich, Batiment 2004, Mori Art Museum, Tokyo, Japan, 2017 (Ph. Hasegawa Kenta, courtesy of Mori Art Museum)

Dalla realtà al sogno, ovvero tradurre il sogno in termini reali sempre e comunque, anche a rischio di risultare caustici e impietosi. Questa sembra essere la vera chiave interpretativa delle belle e sempre (troppo?) fotogeniche opere di Leandro Erlich, enfant prodige dell’arte contemporanea. Dopo essersi laureato in filosofia, parte per il Texas dove concepisce due tra le sue opere più iconiche: Swimming Pool e Living Room. La Whitney Biennial del Duemila e poi la quarantanovesima edizione della Biennale di Venezia del 2021 lo consacrano tra i maggiori artisti argentini viventi. La sua ricerca visiva, più che artistica, è da sempre alimentata dal desiderio di coinvolgere – e studiare – il pubblico, a cui viene permesso di fruire e vivere intensamente le grandi installazioni in mostra.

Leandro Erlic, Arthemisia, Palazzo Reale, Inaugurazione © Leandro Erlich e Fabrizio Spucches

Con l’ausilio di grandi specchi e complice un immenso amore per gli effetti speciali e la monumentalità architettonica, gli spettatori si possono vedere all’interno delle immagini progettate dall’artista. Celebre ed emblematico è il caso di Bâtiment, realizzato nel 2004 a Parigi e poi sempre riproposto: il pubblico ha la possibilità, coricandosi su un’immagine/opera stesa a terra, di vedersi riflessi su un grande specchio inclinato “come se” fossero appesi a un edificio.

All’interno di una società dell’immagine, antesignano e quasi fautore del culto dell’autoritratto, Erlich, che piaccia oppure no, è frutto e massima espressione del nostro tempo dove tutto è forse inevitabilmente una questione di percezione più che di realtà. Ed è così che il grande merito di questo artista risiede nel raccontare sempre e comunque la futilità del nostro mondo – anche di quello dell’arte.

Come in un circo o in una “casa matta”, il suo lavoro trasmette un senso di profonda alienazione e di non familiarità con ciò e con chi ci circonda. In fondo la cosa da non perdere nelle mostre dell’artista argentino, come in “Oltre la soglia” aperta fino al 4 ottobre al Palazzo Reale di Milano, è il vedere il pubblico che “gioca”, si corica e rotola letteralmente sulle opere alla ricerca di un selfie perfetto.  Abbiamo perciò deciso di intervistarlo e capire come nasce il fenomeno Leandro Erlich, ricordandoci sempre che nasce come filosofo.

Leandro Erlich, Arthemisia, PalazzoReale, inaugurazione © Leandro Erlich e Fabrizio Spucches

Fin dall’inizio della tua carriera è apparso chiaro l’interesse per le illusioni percettive. Chi erano i tuoi punti di riferimento tra i maestri del passato? Arte ottica? Escher?
Non ho iniziato cercando riferimenti artistici associati al mio lavoro. Le mie influenze più importanti provenivano dal cinema e dall’architettura. La mia ricerca ruotava e ruota intorno a un approccio concettuale legato alla comprensione della realtà e al ruolo che la percezione gioca in quel processo. Le illusioni ottiche le considero perciò come una conseguenza, non un motore del mio lavoro.

La dimensione del gioco e dell’interazione con il pubblico sembra essere fondamentale nel tuo lavoro. Perché? Vuoi stupire, far sognare o c’è sotto qualcos’altro?
Il gioco è più di un semplice intrattenimento; è parte integrante del processo di apprendimento durante l’infanzia. Credo nella creazione di un rapporto tra arte e pubblico e ciò va ben oltre la contemplazione passiva. Mi piace l’idea che l’arte possa coinvolgere gli spettatori in un’esperienza che riflette il nostro modo di vivere e le nostre interazioni quotidiane con il mondo.

Leandro Erlich, Clouds 2016, Mori Art Museum, Tokyo, Japan, 2017. Photo Hasegawa Kenta, courtesy Mori Art Museum

Cosa intendi trasmettere e raccontare attraverso la tua ricerca artistica?
Traggo ispirazione dal contesto in cui mi trovo. Questo include non solo lo spazio fisico ma anche le situazioni circostanti. Sono interessato a sviluppare un dialogo con il pubblico che emerge come una conversazione pertinente con il luogo e il tempo specifico in cui verrà presentato il lavoro. Ciò premesso, il mio obiettivo resta riuscire ad affrontare quelle tematiche che richiamano ed esprimono tanto le mie preoccupazioni quanto i miei interessi. Tutto nasce perciò sempre da mie riflessioni personali, spesso innescate da circostanze particolari o esperienze personali.

Vuoi raccontarci per te un’opera particolarmente importante?
Onestamente non mi sento legato a nessuna opera in particolare. Capisco che alcune opere d’arte generino più entusiasmo tra il pubblico di altri, ma ciò è dovuto alla natura stessa dei progetti. Ci sono opere più intime e sottili, che il pubblico di solito non condivide sui social media tanto quanto Batiment o Swimming Pool. Tuttavia, ho una prospettiva più ampia del mio lavoro e credo che ogni opera d’arte contribuisca al corpo di lavoro nel suo complesso.

Leandro Erlich, Changing Room 2008, Mori Art Museum, Tokyo, Japan, 2017. Photo Hasegawa Kenta, courtesy Mori Art Museum

Tra le tue opere più amate c’è la serie di Nuvole, ce le racconti?
Il primo Cloud è stato realizzato come parte di un lavoro commissionato a Tokyo. L’obiettivo era quello di costruire un muro che bloccasse il vento e così ho concepito una parete di vetro che catturare una nuvola. Le nuvole hanno un significato particolare per me perché, sebbene la loro natura sia effimera, hanno un potere unico di evocare immagini nella nostra immaginazione. A ben vedere, questa associazione con le nuvole potrebbe essere considerata uno dei primi esempi di ready-made nella storia dell’arte.

Per concludere, hai impiegato anche la video arte e l’arte digitale. Cosa ne pensi della sua evoluzione in NFT?
Non ho un’opinione specifica sugli NFT. Lo considero un nuovo mezzo con potenzialità sia nel bene che nel male. Reputo positivo il fatto che l’eccessiva speculazione che circonda la NFT sembri essere solo sussidiaria, permettendoci di apprezzarla e valutarla oltre e al di là dell’eccitazione iniziale del mercato.

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