Affidarsi e lasciarsi stupire… a tavola
In un’epoca sempre più popolata da fine diners, sommelier, gourmand, palati intenditori ed eruditi del food, l’atto di ordinare dal menu è diventato quasi un esercizio di stile, un’occasione per pavoneggiarsi ed esibire una raffinatezza di gusto sorretta da una reale o presunta competenza enogastronomica. Eppure l’ultima frontiera dell’alta cucina è quella di sdoganare l’idea dell’ordinazione “à la carte”, di svincolarsi dalle costrizioni imposte da un menu scritto e di proporre percorsi culinari che sollevano l’avventore dalla responsabilità della scelta e, al tempo stesso, permettono allo chef di esprimere appieno la sua creatività, affidando alla sala il compito di interpretare i gusti e i desideri dell’ospite. Un azzardo basato su un raffinato gioco di equilibri e potenzialmente disastroso… eppure funziona! Al punto di assumere le caratteristiche di un vero e proprio trend.
Dai “fuori menu” alla riscoperta del “senza menu”
La massima “Accontentarsi di quel che passa il convento” esprime un concetto e un atteggiamento un tempo impensabili da applicare ai pasti consumati fuori casa, soprattutto nei ristoranti di un certo livello, dai quali era la norma aspettarsi un preciso tipo di offerta, con una determinata selezione di piatti in voga e ingredienti evergreen apprezzati dalla clientela.
Oggi invece l’estemporaneità dell’offerta, basata sulle disponibilità dell’orto e del mercato, è il criterio riscoperto da molti chef per assicurare ai propri clienti prodotti freschi, sostenibili ed economici, interpretati in piatti creativi capaci di produrre stimolazioni sempre nuove, inaspettate e in fieri ogni giorno. Così si moltiplicano i locali in cui il rassicurante classico “menu” è una chimera e l’offerta varia di giorno in giorno, rinnovando continuamente gli input per la cucina, la sala, la clientela e rendendo imprescindibile l’attività di comunicazione necessaria per veicolare valori, buoni propositi ed estro creativo dai fornelli alla tavola.
“Oltre” la carta… “Carta bianca” allo chef
Tra coloro che hanno adottato questo criterio “estemporaneo” come fondamento della propria proposta c’è Autem*, il ristorante dello chef Luca Natalini (classe 1989) in cui è la natura a dettare il menu, scritto di giorno in giorno per esaltare al meglio le materie prime e le idee capaci di valorizzarle, in un’ottica circolare e antispreco, attraverso un gioco di contrasti in grado di condurre “oltre” (in latino appunto “autem”, ovvero “e inoltre”, “ancora”) le esperienze culinarie consuete, già viste e definite, verso una dimensione dinamica, in continua evoluzione. Se nei signature dish dello chef, come la famosa “Pasta in bianco” (con decotto di alloro, aceto di prugne, miele e vermouth), il “Come se fossero una bourguignonne” (a base di lumache), l’audace “Cavallo e ostrica”, l’“Insalata di anguilla affumicata” e il ludico “Cordon bleu” (ripieno di erbe spontanee), la sorpresa sta nell’inaspettata scoperta di ingredienti e tecniche inaspettati, la vera scoperta arriva con “Carta Bianca”: un percorso “al buio” in cui è lo chef a proporre una degustazione improvvisata in base alle disponibilità di una dispensa dinamica e in continua evoluzione.
Nuovo significato al “blind menu”, senza andare alla cieca
«Siamo ciò che mangiamo», ma se non sempre sappiamo davvero conoscerci né rispecchiarci nelle nostre scelte culinarie, ci sono occasioni in cui stare a tavola può diventare l’occasione per ritrovarsi, acquisire una nuova consapevolezza di sé stessi e scoprire ciò che davvero vogliamo (e ciò che davvero ci piace). Al ristorante Borgia, il menu “Psyche” nasce proprio dalla volontà di proporre al cliente un gioco mentale che gli consenta di praticare l’introspezione a tavola attraverso un susseguirsi di portate (da 7 a 10, con abbinamento di vini) che non è lui a ordinare, ma che è lo staff a selezionare per lui in base alla personalità che emerge da un colloquio preliminare effettuato prima di iniziare la cena. L’ideatore di questo format è l’intraprendente proprietario Edoardo Borgia che, laureato in psicologia, ha saputo rivoluzionare il concetto di menu degustazione, trasformandolo in un mezzo di riflessione, autoanalisi ma anche divertimento. Ad affiancarlo in questo progetto ci sono l’executive chef Giacomo Lovato e una squadra giovane ma competente che, tra cucina e sala, riesce a dare vita a un susseguirsi di abbinamenti e contrasti di colori, sapori, stimolazioni sensoriali e reminiscenze emotive stimolate. Il risultato sono esperienze uniche, “su misura” per ogni cliente, in cui si alternano provocazioni e rassicurazioni, assonanze e contrasti che rendono ogni boccone interessante e la successione dei piatti sorprendente. Il tutto all’insegna del “conosci te stesso” (e – aggiungeremmo – “chi ti siede accanto”).
Qualcosa di simile accade anche da Contraste, il ristorante una stella Michein ospitato nei saloni di un’antica villa milanese, protetta dai rumori della città, che fin dall’apertura nel 2015 ha rinunciato ad avere un menu fisico per abbracciare la filosofia delle antiche osterie in cui l’avventore non era abbandonato a sé stesso e alle proprie aspettative nei confronti dei piatti proposti in carta, bensì veniva accolto, ascoltato e accompagnato con attenzione nel corso del pasto. L’obiettivo è quello di sollevare l’ospite dal ruolo di giudice chiamato a valutare la corrispondenza tra le aspettative suscitate dal menu e l’effettiva esecuzione dei piatti, per riportare l’attenzione sul rapporto umano che può crearsi tra un lato e l’altro della tavola e sulla curiosità rispetto a ciò che verrà servito, creando un rapporto di fiducia e complicità che consenta a tutti i protagonisti del pasto (da chi lo realizza a chi lo consuma) di vivere a pieno un’esperienza inattesa, libera, variegata e divertente, costruita passo dopo passo, attraverso un quotidiano lavoro di squadra. Una squadra composta da tre soci e amici: lo chef uruguaiano Matias Perdomo, il sous-chef argentino Simon Press e il maître e sommelier di origini sarde Thomas Piras, ma anche dai (massimo) 28 commensali che possono essere ospitati contemporaneamente nel locale.
Mangiare con gli occhi… anzi no!
In un’epoca in cui il cibo è sempre più instagrammabile e il foodporn è ampiamente sfruttato per stuzzicare il desiderio (mentale più che fisico) di mangiare determinati alimenti, in una specifica forma, non mancano le proposte controcorrente, che rinunciano del tutto a far leva sull’aspetto visivo dei piatti, per puntare alla stimolazione degli altri sensi e sovrasensi legati al momento del pasto. Tra queste ci sono le cene organizzate dall’Istituto dei Ciechi di Milano, nell’ambito del progetto Dialogo nel Buio; il culmine di un percorso pensato non come una simulazione della cecità, bensì come un invito a sperimentare altre forme di percezione e contatto col mondo, che prescindano dalla vista, e a esercitare modalità di comunicazione più profonde e intense grazie all’assenza di luce. Cenare al buio, in questo caso, significa risvegliare i sensi non visivi, apprezzare il profumo delle pietanze e del vino, amplificare la percezione delle consistenze e concentrarsi sul gusto, per riconoscere sfumature di sapori inaspettati, senza i sovrasensi culturali dell’estetica. Il tutto in una cornice (il buio, appunto) che apre inaspettate e più efficaci opportunità di dialogo, confronto con sé stessi, incontro con gli altri e apprezzamento delle piccole cose che rendono migliore la vita ma non si possono cogliere con gli occhi.
Speed date, incontri al buio e assaggi “bendati”
Diversa ma affine la proposta di Cocciuto che punta sull’aspetto erotico del cibo per offrire esperienze sensoriali che vanno oltre la semplice ristorazione. Dopo i tre blind date “Cocciuto perfect match”, proposti nel 2022 in occasione del Singles’ Day, per trovare l’anima gemella grazie a dagli abbinamenti di pizze, la proposta delle cene al buio si è rinnovata con “Dininig Dominatrix” il format di ispirazione newyorkese che coniuga gastronomia e sensualità grazie a un gioco di privazione ed esaltazione dei sensi. Il cibo si assaggia a occhi bendati e indossando i Tidy Tips, “fingers condom” presentati dal designer Francesco Musci in occasione del Fuorisalone 2023 e pensati per mangiare con le mani limitando però la percezione tattile e rendere ancora più intrigante l’esperienza, concentrandosi sul gusto e sulle altre sensazioni scaturite dalla degustazione. L’obiettivo è quello di incentivare il dialogo tra sé stessi e i propri sensi, attraverso una stimolazione mirata di questi ultimi, con la guida di una “culinary mistress” che, ogni terzo venerdì del mese, accompagnerà gli ospiti in un accattivante e inusuale percorso di scoperta, attraverso un menu studiato ad hoc dagli chef Alessandro Laganà e Mattia Fabris e dal team di pizzaioli di Cocciuto, nel privé di via Bergognone 24.
Insomma, che si tratti di affidarsi all’estro o all’intuizione dello chef, o di mettere da parte uno o più sensi per concentrarsi in modo mirato sulle emozioni che possono scaturire dal cibo, la ristorazione contemporanea consente di vivere il pasto in molti modi diversi e inaspettati. All’avventore non resta che abbandonarsi al piacere della scoperta, collaborando all’esercizio introspettivo proposto dalla cucina e al tempo stesso dialogando con il contesto della sala per vivere un’esperienza completa, che consenta non solo l’appagamento del palato ma anche la scoperta (o riscoperta) di sé e la conoscenza dell’altro…