Tendenze in viaggioCibo, vino, paesaggio, collaborazione, il poker d’assi vincente

Nel 2023 l’enogastronomia si rivela uno dei principali driver per il turismo italiano, con il giusto potenziale per affermarsi nella scena estera, ma ancora con tanto da dimostrare

Photo credit: Roberta Garibaldi-Wine, Food, Tourism

9,6 milioni sono i turisti italiani che hanno organizzato un viaggio con primaria motivazione gastronomica: circa il 58% della popolazione nazionale, + 37 punti percentuali rispetto ai numeri del 2016. Questo è quanto dicono i dati presentati dal “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano”. Giunto alla sua sesta edizione, consacra così la cultura del cibo e del vino quale non più «mera componente accessoria», ma «elemento assai ricercato ed apprezzato». «Perno del viaggio» come sottoscrive Roberta Garibaldi, presidente della “Associazione Italiana Turismo Enogastronomico”, ente redattore del documento. Proprio lei dichiara fermamente che: «L’alto interesse dei turisti, l’offerta eccellente del nostro Paese, la crescita attesa dei prossimi anni ci regala un incredibile tris d’assi per il prossimo futuro». Una mano sicuramente fortunata, ma su cui giocare di astuzia e strategia per farlo diventare un «poker»: rendere l’enogastronomia uno degli elementi di forza con cui rafforzare la presenza dell’Italia nel campo turistico internazionale. Essere la carta su cui puntare tutto per attrarre i cinque milioni di europei che si prevede che compiranno viaggi con focus gastronomico nei prossimi cinque mesi.

Affinché questo si avveri, conoscere lo scenario contemporaneo, come siano cambiate le esigenze del turista e cosa ricerchi è il primo passo da compiere. Il rapporto ha fatto proprio questo, suggerendo agli operatori del settore quali sono le possibilità di crescita, quali cambiamenti adottare per cogliere questa preziosa occasione, restituendo loro una visione precisa e aggiornata delle tendenze di oggi. Quattro sono quelle emerse, la prima: «la varietà». Una condizione esistenziale che il turista contemporaneo richiede nella sua «costante ricerca di esperienze gastronomiche nel corso del viaggio». Lui, «innovativo», vuole infatti vivere l’enogastronomia del posto in tutte le sue possibili sfumature, aderendo a proposte diverse, sempre legate al luogo, ma che soddisfino la sua voglia di sperimentare. Parliamo di attività che uniscono la conoscenza del paesaggio con l’aspetto culinario. Un italiano su due desidererebbe partecipare a un corso di foraging che preveda la racconta di erbe e frutti edibili da mangiare nei birrifici e frantoi. Sempre all’interno di queste realtà vorrebbe che fossero presenti corsi di sopravvivenza in cui imparare a vivere nella natura, insieme a esperienze legate all’olfatto o attività interattive e sfidanti stile escape room. Attività a cui partecipa mentre alterna il suo lavoro in smart working, per cui vorrebbe degli spazi dedicati all’interno delle stesse aziende. È un turista sicuramente curioso, che «vuole saperne di più» sull’enogastronomia dei luoghi che visita e ottenere le informazioni «nell’ultimo miglio», direttamente in loco. Come dichiara infatti il rapporto: «Il 61% vorrebbe conoscere la storia e gli aneddoti relativi all’azienda e delle produzioni quando visita un frantoio o un’azienda olearia, il 59% durante le visite in cantine, il 57% quando si reca nei birrifici». La varietà interessa infatti anche l’offerta. Forte è la volontà del viaggiatore odierno di esperire tutte le realtà produttive. Dopo le cantine (54%), sempre più sono i visitatori che si recano infatti nei caseifici e aziende agricole (28%), nei salumifici e alla scoperta del comparto beverage, sia di bevande alcoliche che no. Varietà significa anche diversificazione, purtroppo elemento mancante nella proposta gastronomica italiana. Il 55% dei turisti ritiene infatti che le cantine offrano esperienze di visita molto simili tra di loro. Vedere le aziende diventare «luoghi da vivere a 360°C» è quanto vogliono e richiedono. Il 61% dei viaggiatori italiani vorrebbe che queste creassero per esempio occasioni in cui abbinare l’enogastronomia con la musica, il 57% con l’arte, il 51% con lo sport, organizzando esperienze come wine-trekking. Il 58% vorrebbe che queste realtà fossero pet-friendly, il 54% che offrissero servizi dedicati ai bambini. Infine, il 64% che le cantine proponessero attività fruibili dopo l’orario lavorativo.

L’essere «frictionless» è proprio la seconda tendenza individuata dal rapporto quale altra lacuna del turismo enogastronomico italiano. Alto e preoccupante è infatti il gap tra la domanda e l’offerta: 56% quello relativo alla possibilità di seguire un percorso suggerito a tema olio in autonomia. E quando questa esiste, prenotarla è lungo e complicato. 44% dei turisti italiani ritiene che le cantine siano poco fruibili senza prenotazione. Il 63% vorrebbero poter prenotare online la visita in azienda, il 56% acquistare i prodotti tramite un e-commerce. Una volta vissuta l’esperienza in azienda è difficile infatti garantirne la prosecuzione a casa e la condivisione con gli amici: mancano canali di vendita online dove comprare i loro prodotti e l’acquisto in loco è limitato dall’impossibilità di imbarcarli in valigia. Il problema oltre a valle è però anche a monte, nella fruizione delle informazioni. Come indica il rapporto, nell’era del digitale, amici e parenti sono ancora la principale fonte di informazione a cui rivolgersi quando si vuole visitare una determinata meta gastronomica e vivere una particolare esperienza. I social sono invece utilizzati come guida dai giovani della generazione Z, influenzati a loro volta nella scelta della destinazione da show televisivi e film (pensiamo all’effetto “The White Lotus” in Sicilia) e a loro volta influenzanti l’orientamento del settore turistico ed enogastronomico verso nuovi trend. Gran parte a loro si deve infatti la terza tendenza emersa: l’essere «Green&Social». Il turista lo è stato in diversi modi. Come registra il rapporto: «Il 54% dei turisti italiani ha adottato comportamenti più rispettosi dell’ambiente rispetto a quando è a casa». Sempre il 54% ha scelto di andare in vacanza durante la bassa stagione, contribuendo così a garantire costanza e continuità all’attività turistica e a sostenere il benessere economico e sociale degli abitanti delle località meno visitate. Quest’anno le destinazioni gastronomiche più affollate sono state rispettivamente Sicilia, Emilia Romagna e Campania, ma nel Belpaese altri e tanti sono i luoghi dalla grande ricchezza e potenzialità, che il 63% dei visitatori italiani ha espresso la volontà di visitare. Come? Sempre più con mezzi poco impattanti. Oltre la più consona bicicletta, è in crescita un rinnovato interesse per il treno, soprattutto treni storici in cui lo stesso viaggio prevede delle tappe che permettano di addentrarsi alla scoperta dei territori attraversati e della loro cultura gastronomia. Diversi sono gli esempi esistenti: dal più iconico “Orient-Express” al “Treno dei Sapori” lombardo, all’appena inaugurato “Trenino del Gusto” con partenza da Genova. Il turista italiano premia insomma le esperienze slow, quel viaggiare lento che permette di entrare in simbiosi con la comunità locale, con il territorio in sé, il verde e la natura. Proprio questo è il fil rouge che tesse le fila della quarta e ultima tendenza individuata dal rapporto. È la «longevity», «fare del bene a sé stesso attraverso il viaggio». Il turista post pandemia viaggia sempre più per prendersi una pausa dalla tecnologia e dalla solita routine frettolosa della città, optando per proposte turistiche che gli permettano di trascorrere del tempo con i propri amici e familiari in campagna. Non solo, viaggia per riacquistare la sicurezza perduta, autorealizzarsi, concentrarsi sul proprio benessere, ricercandolo nei viaggi enogastronomici. Un italiano su due vorrebbe che le aziende agroalimentari offrissero servizi quali SPA e idromassaggi nelle cantine e trattamenti a base di olio o birra nelle rispettive realtà produttrici. Infine, il 71% vorrebbe trovare dei menu con ricette che facciano bene alla salute. Una richiesta che la proposta di piatti della dieta Mediterranea potrebbe soddisfare, se questa venisse valorizzata e comunicata come viene fatto oggi a livello internazionale.

Il quadro è completo: conosciamo il turista contemporaneo e le sue esigenze, i punti di forza e di debolezza del turismo enogastronomico italiano. Le soluzioni ci sono, tante e complementari tra loro. È lo stesso rapporto a suggerirle. La prima: far riconoscere a livello politico l’importanza che l’enogastronomia ha e può assumere per il turismo italiano, incentivando le regioni a emanare i decreti attuativi già predisposti per la viticoltura e olivicoltura. Essenziale è lavorare in sinergia con le istituzioni e ministeri competenti per creare un piano normativo uniforme che agevoli e faciliti la fruizione delle attività turistiche nei luoghi di produzione. La seconda: sostenere i piccoli produttori nella realizzazione della experience. In che modo? Aiutandoli: nella costruzione di multicanali di vendita, tra cui l’online; nell’attivare sistemi di CRM che consentano loro di capire il loro pubblico e le azioni strategiche da attuare; nel fidelizzare il cliente facilitando anche gli acquisti a casa e in loco, promuovendo policy aree più flessibili riguardo il bagaglio. La terza: prendere consapevolezza del patrimonio gastronomico nazionale. Ciò, partendo dal riconsiderarlo come parte di un paesaggio agricolo con cui si relaziona e come proprio il loro connubio sia elemento chiave per un turismo ambientale quanto culinario. Far conoscere i prodotti della cultura italiana quale il gelato artigianale, costruendo uno story telling intorno a loro. Fare lo stesso per quelli numerosi e meno noti delle diverse regioni e delle loro piccole comunità, rendendole luoghi di memoria sensoriale in cui tornare. Parlando di passato, non trascurare, ma valorizzare gli artigiani e i luoghi storici del gusto: botteghe, bar e ristoranti. Per far sì che questi tre passaggi avvengano è necessario però un quarto e ultimo: professionalizzare il settore. Con ciò si intende primariamente formare figure capaci a cui trasmettere il know-how adeguato per muoversi nel comparto del turismo enogastronomico e riuscire a comunicare il territorio, le sue persone e la sua tradizione culinaria come corpo integro e unico. Questo prevede la costruzione di corsi strutturati che permettano ciò, dentro gli istituti alberghieri quanto come percorsi universitari e post. L’ultimo di questi: il “Corso di Specializzazione in Management del Turismo Enogastronomico”, organizzato dall’Associazione Turismo Enogastronomico, con l’edizione 2023 in partenza.