Confini esterniMeloni vola a Tunisi per trattare con Saied e ridurre gli sbarchi estivi dei migranti

Oggi la presidente del Consiglio sarà in Tunisia. Poi, domani, vedrà a Palazzo Chigi Abdul Hamid Dbeibeh, il primo ministro ad interim di Tripoli. Roma rinuncia alla redistribuzione obbligatoria in Europa. La strategia ora si è concentrata sulla stabilizzazione del Nord Africa

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Oggi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sarà in Tunisia per una visita lampo durante la quale incontrerà il presidente Kais Saied. Poi, domani, vedrà a Palazzo Chigi Abdul Hamid Dbeibeh, il primo ministro ad interim di Tripoli, alla ricerca di una legittimazione per le elezioni che dovranno comporre le fratture tribali della Libia, se mai ci saranno. Due leader di due Paesi instabili. Due confini fragili, che non riescono a contenere l’esodo di migranti verso l’Italia e l’Europa.

L’obiettivo della premier è di limitare le partenze dei migranti prima dell’estate. In cambio, Meloni potrebbe offrire a Tunisi di mediare con gli Stati Uniti per sbloccare il prestito dal valore di 2 miliardi di dollari del Fondo monetario internazionale che eviterebbe il default del Paese.

Tra pochi giorni la premier capirà se l’Europa sarà in grado di trovare risposte soddisfacenti sulla riforma delle migrazioni o se ancora una volta la gestione dei profughi resterà incompiuta. A Bruxelles è in corso da settimane una maratona negoziale, in vista della riunione dei ministri degli Interni in agenda giovedì a Lussemburgo che dovrà cercare il giusto equilibrio tra solidarietà e responsabilità sui migranti. L’accordo non è scontato.

L’asse dei Paesi mediterranei si sta muovendo in modo compatto. Nonostante i governi politicamente all’opposto, Italia e Spagna fanno fronte comune in questa partita con Grecia, Malta e Cipro. Mentre dalla parte opposta della barricata ci sono la Polonia, l’Ungheria e il fronte di Visegrad. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ieri ha chiamato la collega svedese, che guida la presidenza di turno, e che gli ha dato rassicurazioni sul meccanismo di «solidarietà obbligatoria» alla base della riforma di Dublino: gli Stati che non vogliono accogliere i migranti saranno tenuti a contribuire con un supporto «logistico o finanziario» per aiutare i Paesi di primo ingresso. Non ci sarà un sistema di ridistribuzione vincolante, insomma.

Dopo la rinuncia alla promessa elettorale del blocco navale, ora che il negoziato è alle battute finali, l’Italia dice che può fare a meno della redistribuzione. La strategia di Meloni – spiega La Stampa – si è concentrata sul rafforzamento dei confini esterni: lavorare sui confini europei, finanziando i Paesi di transito, stabilizzando il Nord Africa. Questo è il piano.

La visita a Tunisi era attesa da mesi. In ballo c’è lo sblocco dei finanziamenti del Fondo monetario internazionale, 1,9 miliardi di dollari congelati dopo la svolta autoritaria di Saied. L’Italia attendeva un segnale dall’Europa e dagli Stati Uniti. Per mesi il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha proposto agli Usa e al Fmi un compromesso: i soldi verrebbero rilasciati a rate, in cambio di pianificazione progressiva delle riforme in campo economico e politico. Per Tajani «è assolutamente necessario superare le rigidità del Fmi ed evitare che la Tunisia collassi e diventi una nuova Libia».

L’Europa piano piano si è convinta. Il premier olandese Mark Rutte ha promesso sostegno, e anche il presidente francese Emmanuel Macron – che oggi incontra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Prigi – si è proposto per cogestire le turbolenze tunisine. Al G7 Meloni ha spinto per inserire la questione africana nelle conclusioni finali del summit, e poco prima di partire ha avuto un colloquio a tre con la direttrice del Fmi Kristalina Georgieva e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Ore prima, però, era stato il segretario di Stato americano Antony Blinken a cercare di ammorbidire Saied, con una telefonata di circa un’ora durante il volo verso l’Estremo Oriente.

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