C’è chi la fa e c’è chi non la fa. Chi la consuma in fretta e chi con assoluta calma. Chi la onora in silenzio e solitudine e chi preferisce condividerla in compagnia. Chi si alza prima (per avere più tempo da dedicarle) e chi si alza tardi (sostenendo di non avere comunque tempo). Ma una cosa è certa: tutti ne parlano, tutti la sognano e tutti la vogliono. E al Tavolo 9 del Gastronomika Festival la colazione è stata al centro di una vivace e stimolante riflessione.
Benessere mentale
La colazione come pulsante on della giornata. Ossia lo start, l’incipit, il principio, il riavvio, la ripartenza, il risveglio dei sensi. Tutti i dì, tutto l’anno, tutta la vita. È lei a determinare umore e stato d’animo. Da lei dipende l’andamento della giornata. Per questo non deve essere solo un rituale salutare, ma deve pure rappresentare un benessere mentale. Colazione come momento per sé, dunque. Da vivere a casa o fuori casa. Un tempo intimo per pensare, riflettere, leggere, riconnettersi lentamente con la realtà (e pure con i social). Una parentesi di silenzio, calma, relax. Un modo per volersi bene. O voler bene. Perché il tempo della colazione può essere pure il momento della relazione, dell’incontro, del dialogo, dello scambio e del confronto, come ben fa notare Vanessa Giorgia Viscardi, alla regia di Cavoli a Merenda, a Milano. L’importante è che sia di qualità e consumata in tranquillità. Per questo è bene che la pasticceria, la bakery o il forno divengano spazi soft, se non ovattati almeno insonorizzati. Per dar vita a comfort zone sì dinamiche e vitali, ma capaci di restituire equilibrio e armonia. Fisica e psichica.
Esperienza vs abitudine
La colazione come esperienza. Certo, alla stessa stregua del pranzo e della cena. Un’occasione per conoscere, scoprire, curiosare, provare, sperimentare. Anche qualche novità, anche qualche delizia salata e inedita. Oppure no. La colazione come abitudine, come routine rassicurante e appagante. Della serie, andare dritti sempre nella stessa direzione, scegliendo la pasticceria del cuore e il croissant preferito. Nulla è giusto, nulla è sbagliato. Dipende da quello che si cerca e da quello che si vuole. Per questo il pasticcere deve ascoltare e sapersi sintonizzare sulle frequenze del cliente, per essere in grado di soddisfare – e persino anticipare – le sue esigenze. L’importante è essere coerenti con il proprio pensiero, la propria filosofia, la propria clientela. «E anche con la propria città, piccola o grande che sia», puntualizza Maicol Vitellozzi, in forza alla corte di Tiri, a Potenza. Insomma, se la pasticceria propone una scelta ampia, variegata e orizzontale, lo deve saper fare al meglio. Creando un banco ordinato, allestendo una vetrina ad hoc e trovando le soluzioni più efficaci per orientare e facilitare la scelta del cliente. Evitando di fargli perdere tempo. Valerio Cambieri, alla guida di Tiemì, a Milano, presenta i suoi croissant in una sorta di cassettiera, con corredo di etichette-spiegazioni. Indicando sempre le novità. Dall’altra parte c’è chi, come Renato Nassini del forno artigianale Tondo, predilige essere più semplice, minimale e lineare, andando in verticale. E proponendo brioche, dolci lievitati, pane e focacce. Tenendo così fede al suo progetto.
Veloce o lenta?
La colazione veloce. La colazione lenta. La colazione può avere tempi differenti. Nel caso di una colazione easy, smart e fast, magari da fare passeggiando (oppure da portare e consumare a casa o in ufficio), fondamentale è lo studio del packaging più adatto e performante. Preferibilmente pratico, maneggevole, sostenibile e compostabile. D’altro canto, se la pasticceria o la bakery propone un breakfast slow e gode di spazi ampi, deve saper valorizzare questo tesoretto, offrendo Wi-Fi gratuito, sedute e tavoli comodi, prese per la ricarica dei device. Al fine di ricreare una sorta di casa fuori casa. Facendo sentire a proprio agio l’ospite. Una cosa è certa: nel weekend i tempi si fanno più rilassati, lenti e dilatati. E persino chi non è abituato a fare colazione decide di farla. I numeri confermano. La produzione raddoppia o addirittura triplica. Parola d’ordine: organizzazione.
Quel che i biscotti dicono
La colazione come tempo del racconto: del proprio saper fare artigianale e del saper fare di un’intera filiera di contadini, agricoltori e allevatori. Come testimonia Leonardo Acucella del Mercato del Pane: tre insegne abruzzesi (a Pescara, Montesilvano e San Silvestro) che condensano un gruppo di fornai-esploratori il cui mantra già dice tutto: “dove tira aria di campagna”. Del resto, loro fanno anche parte di PAU, Panificatori Agricoli Urbani. Colazione quindi come narrazione, per generare fiducia, per dare nuovi stimoli, per educare e per favorire la conoscenza. Allargando e allungando lo sguardo.
D’istinto o ragionando
La colazione come scelta istintiva, live, spontanea, emozionale e d’impulso. Oppure come scelta ragionata, razionale, studiata e programmata. Anche questo determina e influenza cosa mangiare e dove andare.
Brioche e stories
La colazione ai tempi dei social. E sui social. «Se abbiamo una nuova monoporzione noi la fotografiamo, la postiamo su Instagram e la raccontiamo. Creando l’attesa e l’aspettativa. Funziona», spiega Leonardo Acucella. Una vetrina digital, che non va a sostituire la vetrina reale. O forse sì.