L’appuntamento è alle 13,30 di oggi in commissione Esteri alla Camera, quando il governo rinvierà all’aula la decisione sulla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità.
La proposta di Fratelli d’Italia punta a evitare il voto in commissione e a far poi slittare ancora il passaggio in Aula. In teoria, è calendarizzato per il 30 giugno. Per il Tesoro di Giancarlo Giorgetti non c’è motivo di rinviare la discussione, ma Palazzo Chigi pensa l’opposto. Lo scontro tra i due palazzi si è consumato ieri.
La pressione politica da Bruxelles perché Roma proceda è forte: l’Italia è l’unico dei venti Paesi dell’euro a non aver ancora firmato. Per Elly Schlein così si «intacca la credibilità del Paese». L’alleato Giuseppe Conte dice che «il governo continua a rinviare», eppure la mancata ratifica di Draghi fu causata dal no di Lega e del suo partito, che ora promette l’astensione.
Nel tentativo di prendere tempo, la maggioranza aveva chiesto un parere motivato al ministero del Tesoro. Lega e Fratelli d’Italia speravano che sul tavolo del presidente della commissione Giulio Tremonti arrivasse un giudizio carico di dubbi. E invece così non è stato. La nota di due pagine firmata dal capo di gabinetto Stefano Varone, datata 9 giugno e protocollata alla Camera il 14, dice che non ci sono rischi nella ratifica del Trattato sul Mes. Per il Mef, con la ratifica l’Italia trarrebbe giovamento nella valutazione delle agenzie di rating e nella reputazione internazionale. Apriti cielo.
«Dalla ratifica del suddetto accordo non discendono nuovi o maggiori oneri rispetto a quelli autorizzati in occasione della ratifica del Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità del 2012», si legge nel documento. Di più: «Non si rinvengono nell’accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio. Inoltre non si ha notizia che un peggioramento del rischio del Mes sia stato evidenziato da altri soggetti quali le agenzie di rating, che hanno invero confermato la più alta valutazione attribuitagli anche dopo la firma degli accordi». Varone offre giusto una sfumatura riguardo «eventuali» effetti indiretti della riforma: «Essi potrebbero astrattamente presentarsi […] per la richiesta di pagamento delle quote non versate del capitale autorizzato». Il nuovo Fondo salva-Stati ha un valore teorico di 704 miliardi di euro, 80 dei quali già versati ed utili ad affrontare una crisi simile a quelle che nel 2011 spinse il debito italiano sull’orlo del default. L’Italia, terzo socio dopo Germania e Francia sin dall’istituzione del Mes, ha sottoscritto il capitale per 125 miliardi e ne ha fin qui versati 14,5. Il paradosso vuole che l’attuale plafond del Fondo, troppo piccolo per affrontare una crisi, abbia aperto un dibattito nelle stanze europee su un’ulteriore riforma che permetta al Mes di svolgere i compiti di un compiuto fondo di investimento sovrano. La pressione dei partner è essenzialmente politica: l’esibito rinvio italiano, dal sapore ricattatorio, ha indispettito molte cancellerie, a iniziare da Berlino.
Il passaggio per la maggioranza più urticante della relazione del Tesoro è quando ammette che la ratifica avrà effetti positivi sul costo di finanziamento del debito, abbassando lo spread fra Btp e Bund tedeschi. «Sulla base di riscontri avuti da analisti, è possibile che la riforma […] porti ad una migliore valutazione del merito di credito degli Stati membri, con un effetto più pronunciato per quelli a più elevato debito come l’Italia. Quanto questo comporti in termini di riduzione del costo è, tuttavia difficile da prevedere ex-ante». In sintesi: la nota di Varone smonta pezzo per pezzo la narrazione della maggioranza e sottolinea che il nuovo strumento non somiglia nemmeno lontanamente a quello che negli anni della grande crisi costrinse all’austerità Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda.
Ci si chiede se il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti leghista avesse dato il suo assenso ad un testo così netto. La maggioranza ha rinviato a oggi la votazione in commissione. Palazzo Chigi cerca di arrivare al voto con una linea condivisa, ma punta a superare la data del 30 giugno, giorno in cui la discussione dovrebbe arrivare in Aula alla Camera. La maggioranza potrebbe usare come scusa quella della contestuale riunione del Consiglio europeo di Bruxelles.
In più ieri la seduta della commissione Bilancio del Senato sul decreto Lavoro è stata sospesa dopo che, assenti gli esponenti di Forza Italia, il voto sul pacchetto di emendamenti è finito in pareggio con 10 senatori di maggioranza a favore e altrettanti di opposizione contrari. L’ennesimo «dramma parlamentare» che porta a domandarsi: sciatteria o maggioranza divisa?
Insomma, non tira una buona aria dalle parti del governo.