Non siamo ancora ai tre indizi che fanno una prova ma anche solo due già preoccupano. Elly Schlein sta inviando segnali prodromici a un cambio di linea sull’Ucraina? Presto per dirlo e forse è troppo: il Partito democratico si spaccherebbe e lei sarebbe in minoranza. Però è evidente che i fatti contano e che la dicono abbastanza lunga: sulla guerra si sta cercando di cambiare almeno i toni. E i fatti sono stati due.
Il primo è stato in occasione del voto degli europarlamentari sul documento Asap relativo al finanziamento delle munizioni per le armi in dotazione all’esercito ucraino. I dissensi alla fine sono stati più o meno i soliti, ma quello che ha colpito è stata la non-scelta della segretaria, il suo volersi rimettere alle coscienze dei deputati europei: ed è ovvio che un leader non fa così. Indica una linea. Ci fosse stato un altro segretario avrebbe detto: se bocciano i nostri emendamenti comunque non possiamo non votare per il finanziamento delle munizioni. Invece niente: vedetevela voi. Brando Benifei, il capogruppo, si è trovato in mezzo a fare da parafulmine.
Il secondo episodio, due giorni fa quando Paolo Ciani è stato eletto vice capogruppo alla Camera. Pur tenendo presente che non si tratta di un ruolo fondamentale, ha suscitato stupore che a quella carica sia stato chiamato il leader di Demos, organizzazione politica che fa riferimento alla Comunità di Sant’Egidio legata al Pd dal patto elettorale stipulato a suo tempo da Enrico Letta e non iscritto al partito: una piccola bizzarria, ma formalmente legittima.
Il problema è invece sul piano della sostanza. Ciani infatti è da sempre fiero oppositore dell’invio di armi all’Ucraina in nome di quel pacifismo che è molto ostile alla linea pro-Resistenza del Nazareno, una linea che Ciani ha ribadito anche ieri parlando con Repubblica: «Non credo nella vittoria militare, cioè armare l’Ucraina perché possa vincere». Dunque vincerà la Russia, come dicono Putin e Medvedev. Tanto vale smetterla qui. E i territori? «Questo si vede dopo, prima bisogna investire nella spinta per il cessate il fuoco».
Obiettivamente, nelle ore tremende dello crollo della diga di Kakhovka che sta creando un disastro ambientale di proporzioni inaudite, sono parole inquietanti. Che non c’entrano nulla con la linea del Pd ma ben si attagliano ai pensieri e alle parole di Michele Santoro e Ginevra Bompiani. Possibile che tra i deputati del Pd – lasciamo stare Schlein – nessuno abbia avuto qualcosa da obiettare sul fatto che l’onorevole Ciani sia stato indicato dalla capogruppo Chiara Braga (ovviamente d’accordo con Schlein) per fare il vicecapogruppo?
Siamo dunque davanti a due fatti. La leader deve però tenere presente che sull’Ucraina non si scherza. Oltre questo non può andare. Lorenzo Guerini, Piero Fassino, Enzo Amendola, Lia Quartapelle, Pina Picierno, Brando Benifei, Marianna Madia, Filippo Sensi, Elisabetta Gualmini, Simona Bonafè, Paola De Micheli e molti altri non accetterebbero un terzo svarione di questo tipo. Non basta aver sostituito Lia Quartapelle con Peppe Provenzano come responsabile Esteri del partito per pensare di poter cambiare linea, o anche solo accento, sulla guerra.
Lunedì si riunisce la Direzione. Mediti la leader su quanto ha detto un solitamente pacato Guerini: «La nostra linea sull’Ucraina è chiara e non è minimamente in discussione». E La vicepresidente dell’Europarlamento Pina Picerno ha osservato che «Grande la confusione sotto il cielo». Ma certo, per completare la massima, la situazione non è affatto eccellente.
La leader del Pd ha un weekend per rifletterci su, mentre partecipa al Festival di Repubblica e all’assemblea di Articolo Uno a Napoli (e magari lì si tappi le orecchie). «Sulle armi si può cambiare», ha detto Ciani. Ecco, no, su questo Elly Schlein non può rischiare una forzatura. Perderebbe.