In locanda a San Martino del Carso Vita, storia e cucina di confine

Mescolando enogastronomia, racconti famigliari e vicende di un territorio di confine, “La locanda ai margini d’Europa” di Enrico Maria Milič racconta la storia della famiglia Devetak, da cinque generazioni alla guida dello storico locale che porta il loro nome

Foto di Mathieu Stern su Unsplash

La cucina italiana

Mentre delle stalle rimangono solo gli echi nelle canzoni, nel territorio tra Gorizia e Trieste, come nel resto d’Italia e dell’Europa occidentale, fioriscono mille offerte da ristoranti più o meno lussuosi: nouvelle cuisine, pizzerie, mense, fast food e take away, trattorie pugliesi, spaghetterie, pub e ristoranti cinesi. A San Michele, la vecchia casa dei Devetak conserva quella fiducia emanata dall’osteria di famiglia, dove non è solo il denaro a motivare chi lavora ma i legami di sangue. I clienti, che di solito appartengono alla comunità slovena in Italia, lo sentono. Dopo la fase della birreria, tornano dai Devetak sia perché è un’osteria gestita “dai nostri”, cioè da altri sloveni, sia per godersi un benessere che nessuno aveva mai visto prima. Dalla cucina brilla la promessa di fiducia per il mondo: ci sono la mamma e la nuora, che cucinano non solo per i clienti ma sfamano la famiglia ogni giorno, come da tradizione.
Gabriella, Helka e Nerina si dividono le pargole Sara e Tatjana tra le braccia, sotto le gambe. Ma le prime due, quando non sono con le bimbe, quando non si riposano, sono ai fornelli.

NERINA Mia mamma e Gabriella cucinavano. Gabriella faceva un sacco di esperimenti. Io assaggiavo tutto. Qualche volta il piatto era bello da vedere ma era cattivo. Qualche volta, viceversa.
Mi ricordo dei contorni. Per esempio, mia mamma cucinava i piselli con tanto olio e aglio. Metteva dappertutto una tonnellata di finocchietto e di alloro. Sentivi subito il profumo. Gabriella provava un gusto più delicato, a cui non eravamo abituati.
Mi ricordo i sughi degli arrosti. Un sugo era scuro, tutto abbrustolato. L’altro era chiaro. A un certo punto mia mamma iniziò a diminuire un po’ l’olio. Gabriella ne aggiunse un po’. Così, i sughi divennero di un colore che era una via di mezzo.

Siamo a metà degli anni Ottanta. Dalle redazioni delle guide e delle rubriche culinarie dei quotidiani e dei periodici, i giornalisti enogastronomici tra Roma e Milano propongono una manciata di ricette e stili culinari a cinquantasei milioni di cittadini italiani. Anche in Carso, tra le mura della minoranza slovena in Italia, spuntano le copertine de “La Cucina Italiana”, un mensile nato nel 1929 per diffondere un’idea nazionale e moderna di cucina. Negli anni Ottanta la rivista spopola nel Nord Italia, una delle aree più ricche d’Europa, vendendo a Natale oltre centottantamila copie al mese, arrivando ogni anno in milioni di mani e occhi. Evangelizza massaie, osti e ristoratori su piatti mai cucinati prima.

UŠTILI Mia moglie iniziò a fare il filetto che mia mamma non aveva mai fatto, il girello, la lonza, il roast beef all’inglese, il vitello tonnato che avevamo visto in Piemonte. Poi iniziammo a smettere di proporre un generico “arrosto”. Iniziammo a mettere in menu “arrosto d’anatra”, “arrosto d’oca”, “arrosto d’agnello”…
Prendemmo una griglia per fare le costate, le salsicce, le fiorentine – ehi, anche se non abbiamo mai e dico “mai” fatto čevapčići o ražniči. Quella è cucina serba, non nostra.
Poi Gabriella faceva delle grandi pappardelle: erano buone, ma adesso sarebbero improponibili. Invece di servirle col sugo o col “sugo d’arrosto”, super generico come si faceva una volta, iniziammo a mettere in menu: il sugo di capriolo, o di cinghiale, o di fagiano.
Però coi sughi con la panna abbiamo finito subito. Panna e prosciutto? Panna e piselli? Durarono poco, da noi.

«Nulla in Italia è più costante del mutare delle osterie» scrive il giornalista enogastronomico Giovanni Veronelli sulla sua prima guida I ristoranti di Veronelli del 1977. Per ora dentro l’osteria Devetak convivono due ispirazioni, quella carsolina e quella che attinge alle mode nazionali della cucina in Italia.

GABRIELLA All’inizio compravo conserve e sughi da aziende nazionali che rifornivano tutte le osterie del circondario. Andavi a mangiare in Carso e i piatti erano dappertutto con lo stesso sapore.
Poi, sperimentando a lungo, iniziai a preparare tutto io, a dare il mio taglio. Intorno al 1990 all’Hotel Gritti a Venezia feci il mio primo corso di cucina, una settimana.
Prendevo il treno alla mattina e tornavo alla sera. Ogni volta, mi accompagnava qualcuno. Il primo giorno venne Uštili con le bambine, per fare un giro. Il secondo giorno venne Nerina. Il terzo venne mia suocera. Forse non volevano che andassi da sola? Non si fidavano? (ridacchia)
Mi insegnarono trucchetti di cui non avevo alba. Imparai lo zabaione, i flan, come fare a modo il coniglio, il bonèt come dolce, i peperoni ripieni con la ricotta…
Così, in cucina a San Michele, mentre mia suocera faceva le ricette vecchie, io facevo quelle contemporanee.

Estratto da
 “La locanda ai margini d’Europa”
di Enrico Maria Milič,
Collana “Camera con vista”, Bottega Errante Edizioni, 2023
232 pagine, € 17

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