Dentro il Duomo di Milano ieri emergevano, tra tutte, due donne: Giorgia Meloni e Marina Berlusconi. Sono loro i veri eredi del de cuius. La premier è l’erede politica del Cavaliere; la presidente di Fininvest e della Mondadori era l’«erede apparente» (la definirono così l’Independent e il Financial Times alcuni anni fa) e ora sostanziale del padre. La primogenita ha preso atto che la leader di Fratelli d’Italia il 25 settembre scorso ha portato a buon punto l’opa elettorale su Forza Italia. E ha imparato dal padre che le aziende di famiglia hanno sempre bisogno di protezione politica.
La principessa di ferro, diventata regina dell’impero berlusconiano, ha visto il declino elettorale della creatura politica del padre, parallelamente a quello fisico. Non ha condiviso la freddezza del patriarca e dei senatori azzurri (Licia Ronzulli, per fare un nome tra gli altri) nei confronti del nuovo governo e dell’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza di Palazzo Madama. Ma tutto questo è ormai storia recente, compresa la strambata governativa fatta dallo stesso Silvio Berlusconi, ispirata dalla famiglia allargata a Gianni Letta e Fedele Confalonieri. Con i relativi cambi al vertice di Forza Italia.
Ora c’è un futuro incerto e imprevedibile del mondo berlusconiano. Dentro il Duomo di Milano tutti gli sguardi erano rivolti verso quei banchi dove gravitava la nuova maggioranza Giorgia-Marina. Perché da tempo si parlano, perché da tempo il dottor Alberto Zangrillo aveva spiegato che il più illustre paziente e finanziatore del San Raffaele, per la patologia che aveva, si sarebbe potuto aggravare da un momento all’altro. Da tempo c’erano interlocuzioni dirette e indirette (Gianni Letta e non solo), scambi di informazioni sul futuro del colosso di Cologno Monzese, su possibili vendite, su potenziali acquirenti stranieri e sul canone Rai. Direte, che c’entra? C’entra da quando, stranamente, Matteo Salvini ha cominciato a dire che bisognerebbe togliere questo canone dalla bolletta ed eliminarlo. Il secondo a frenare il capo leghista è stato il collega leghista del ministero dell’Economia Gianfranco Giorgetti, mentre il primo è stato il Presidente del Consiglio Meloni.
Cancellare il canone Rai, che se non fosse incluso nelle bollette non lo pagherebbe quasi nessuno, significherebbe che i nuovi dirigenti di viale Mazzini dovrebbero mettersi alla stanga per trovare tantissima pubblicità e compensare la voragine che si aprirebbe sotto le loro poltrone. Aprendo una danza mortale con Mediaset. È mai possibile che Salvini non se ne renda conto? Non proprio, e allora anche questa uscita del ministro delle Infrastrutture può essere letta all’interno della competizione tra il leghista e la premier.
Al funerale ereditario di queste cose prosaiche ovviamente non si è parlato. Ci sono altri momenti, altre sedi e altre persone che se ne occupano. Come per il riconoscimento del tax credit ai prodotti cinematografici, televisivi e audiovisivi: Mediaset vorrebbe si applicasse anche all’emittente, cioè a sé stessa, e non solo alle società di produzione. Vedremo se questa richiesta verrà esaudita.
Poi c’è la politica strettamente intesa, che Silvio Berlusconi non riusciva del tutto a distinguere dalla ditta che nel caso di Mediaset è diventata una società olandese e si chiama MediaForEurope. A maggior ragione a Bruxelles, Marina avrà bisogno di un punto di riferimento politico, di amici e non nemici, soprattutto adesso che proprio MediaForEurope è al centro di voci di offerte che arrivano dall’estero. Così, in politica come sugli asset imprenditoriali di Berlusconi, le parole magiche sono “continuità” ed “eredità”, che gli orfani del Cavaliere dentro Forza Italia declinano con un orgoglio che nasconde il terrore di essere degli animali politici in via di estinzione.
Senza il vero padre padrone di Forza Italia in effetti non hanno un futuro. Sono appesi ai crediti e alle fideiussioni della famiglia Berlusconi, all’interesse di Marina di continuare a tenere in vita questo asset in perdita. Sembra che un accordo ci sia: tenere in piedi Forza Italia fino alle europee del 2024, provare a portare a Strasburgo una pattuglia di eurodeputati che possa contribuire a all’intesa tra Partito popolare europeo e Conservatori. C’è anche l’ipotesi che in campagna elettorale venga fatta una dichiarazione a favore di questa alleanza, che però da sola non potrà bastare. A Palace Berlaymont per governare sono sempre state necessarie larghe intese. Dare per sconfitti già in partenza i Socialisti e i liberali di Emmanuel Macron non è una previsione saggia.
Il brand Berlusconi deve sopravvivere, ma come è veramente difficile immaginarlo, una volta che si sarà spenta l’emozione per la scomparsa del “dottore” (lo chiamavano così i sui dipendenti). C’è un anno davanti prima del voto e siamo convinti che la diaspora dei colonnelli, capitani, sergenti e soldati semplici comincerà presto. Soprattutto continuerà quella del popolo degli elettori che da anni, dalla fine dell’ultimo governo Berlusconi nel 2011, ha cominciato a mollare l’uomo con il sole in tasca. Finora questa diaspora è rimasta dentro il perimetro della destra-destra. Adesso chissà.
Vedremo se Marina, attraverso Antonio Tajani e sua eminenza Letta, riuscirà a portare in dote a Meloni i voti residui del padre, che comunque sono attorno all’otto per cento. Dovrà però mettere mano al portafoglio. Ieri però era il momento del lutto di Stato e delle lacrime. Oggi, al Consiglio dei ministri, quello della riforma della giustizia che piaceva tanto a Berlusconi. «Grazie Silvio, non ti dimenticheremo, ti renderemo orgoglioso», ha scritto sui social Meloni dopo aver lasciato il Duomo insieme al compagno Andrea Giambruno, giornalista Mediaset.