Un disegno di legge per difendere le donne. Dopo l’omicidio di Giulia Tramontano, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi lo annuncia in un’intervista alla Stampa. Un lavoro di squadra con il Guardasigilli Carlo Nordio e la ministra della Famiglia, delle Pari opportunità e Natalità Eugenia Roccella, spiega Piantedosi, che parla di «dati preoccupanti» sui femminicidi e la violenza di genere, «un fenomeno particolarmente grave e odioso, intollerabile tanto più in una società avanzata come la nostra».
Piantedosi dice che il provvedimento sarà portato in uno dei prossimi Consigli dei ministri. «Ma non ci limiteremo a questo», specifica. «Quando il governo interverrà, in Parlamento ci sarà l’opportuno confronto tra le forze politiche. Sono sicuro che non mancherà un concreto spirito di condivisione e collaborazione».
I casi di femminicidio in Italia sono stati 119 nel 2020, 120 nel 2021, 126 nel 2022. «Nel corso di quest’anno, dal 1 gennaio al 28 maggio sono stati registrati complessivamente 129 omicidi volontari di cui 45 vittime sono donne. Trentasette sono state uccise in ambito familiare-affettivo e tra queste sono 22 le donne che hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner», ricorda il ministro.
L’obiettivo del ddl «è evitare che la violenza o addirittura l’omicidio sia commesso. Le pene severe servono, sono necessarie ma non riportano in vita la vittima e non esauriscono il problema. Per quanto di competenza del Viminale, stiamo ipotizzando un rafforzamento delle misure di prevenzione personali a partire dall’ammonimento nei confronti degli autori delle condotte violente e di informazione alle vittime, estendendo le possibilità e i casi di intervento del questore». «È importante comunicare alle donne vittime di abusi la presenza dei centri antiviolenza che operano sul territorio, mettendole in contatto con queste strutture», aggiunge.
E nei confronti degli uomini, si pensa «al potenziamento dell’uso del braccialetto elettronico nel caso in cui l’autorità giudiziaria decida l’adozione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, nei confronti dei soggetti indiziati di delitti, consumati o tentati, nell’ambito della violenza di genere e domestica».
Ma «c’è un tema più ampio che riguarda l’educazione e la formazione che deve partire con efficacia fin dai primi anni di scuola. La premessa di qualsiasi ragionamento sulla violenza contro le donne e sul suo culmine, il femminicidio, infatti, è che non si tratta di un fatto individuale ma sociale. Questa precisazione è decisiva perché parlare di un fenomeno sociale significa che le sue cause non sono da rintracciare soltanto nella devianza del singolo. Certo, le situazioni di cui parliamo ci pongono dinanzi a soggetti che hanno indubbiamente una propensione criminale. Ma chi rivolge la propria indole prevaricatrice verso una donna, per lo più la propria compagna, spesso è convinto intimamente di essere legittimato a farlo». Per questa ragione, «lo strumento per contrastare il fenomeno non può essere limitato alla repressione del reato, ma deve essere agganciato a un progetto culturale, che comporti l’assunzione di una responsabilità collettiva e multidisciplinare per prevenirlo e contrastarlo. Si deve affermare compiutamente il rispetto della vita umana e della altrui libertà affinché in nessun modo la donna possa essere trattata come un oggetto, una proprietà, uno strumento».