Un (altro) giudice a BruxellesIl mistero buffo del Qatargate e un processo che rischia di diventare farsa

Ci sono molti aspetti che non tornano in sette mesi di indagini sulle attività di alcuni eurodeputati. La decisione di cambiare in corsa il grande inquisitore per un presunto conflitto di interessi pone più di un dubbio sui metodi poco ortodossi utilizzati dagli inquirenti

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Qualcuno prima o poi spiegherà perché Andrea Cozzolino, eurodeputato del Partito democratico, è stato agli arresti domiciliari per quattro mesi? I magistrati di solito rispondono: succede, serviva alle indagini. Ma se dopo quattro mesi e un interrogatorio lunghissimo svolto da un giudice diverso da quello che ha iniziato l’azione penale (che nel frattempo se n’è andato), quell’europarlamentare viene rilasciato gli si chiede scusa? Ed è una coincidenza che l’arrivo di una nuova inquirente abbia portato al rilascio dell’onorevole Cozzolino, che beninteso resta indagato nell’inchiesta sui presunti scandali di Bruxelles e che continua a proclamarsi estraneo ai fatti? Non si può escludere che abbia collaborato, il che farebbe anche sorgere il dubbio che la carcerazione sia servita per ottenere elementi nuovi.

Vedremo che cosa succederà, ma già adesso ce n’è abbastanza per dire che almeno sin qui è stato causato un danno enorme, personale e politico, a lui e al suo partito che lo ha sospeso diversamente da quello che ha disposto il gruppo del socialismo europeo che lo ha espulso. Quello di ieri è l’ultima puntata di una vicenda che da tragica rischia di diventare farsesca, con una giustizia da cui ora – si apprende – trapelano elementi che «potrebbero sollevare alcune domande sul funzionamento oggettivo dell’indagine», come ha scritto Iuri Maria Prado sull’Unità. 

È un fatto che tutti coloro che erano stati arrestati dopo l’esplosione del cosiddetto Qatargate sono stati rilasciati, a cominciare dalla ex vicepresidente Eva Kaili che si è fatta quattro mesi di carcere e due di domiciliari.

Le indagini iniziate nel dicembre del 2022 come detto stanno proseguendo ora con un’altra giudice, Aurélie Dejaiffe, dopo che Michael Claise, il grande inquisitore, aveva deciso qualche giorno fa di lasciare la guida dell’inchiesta «in via cautelare e per consentire alla giustizia di continuare serenamente il suo lavoro e di mantenere una necessaria separazione tra vita privata e familiare e responsabilità professionali», come aveva scritto la procura in una nota evidenziando che nel dossier «di recente sono comparsi alcuni elementi» che «potrebbero sollevare alcune domande sul funzionamento oggettivo dell’indagine». 

La decisione del giudice Claise sarebbe legata al fatto che, secondo fonti qualificate riportate dall’Ansa, uno dei suoi figli avrebbe lavorato per una delle persone indagate. Un possibile conflitto d’interessi. A sette mesi dallo scoppio dello scandalo dunque siamo se non davanti a un punto morto certamente davanti a una possibile ripartenza o forse a uno sgonfiamento di un caso che ha sputtanato molte persone, diversi partiti, soprattutto l’istituzione europea. I metodi sono stati spesso al di fuori dei binari che la legislazione italiana ha fissato nel nome di una certa cultura garantista. 

Gli avvocati di Cozzolino, Federico Conte e Dezio Ferraro, in passato hanno parlato di «uno scenario sempre più opaco dietro il quale si sta giocando una partita di politica estera sul ruolo delle istituzioni europee parallela e sotterranea, e sul cui sfondo continua ad aleggiare l’azione dei servizi segreti, che ci fa fondatamente dubitare che il sistema giudiziario belga possa garantire a Cozzolino un giusto processo». Quanto alle condizioni carcerarie denunciate da Kaili c’è un solo termine: disumane.

Probabilmente dunque siamo fuori dalle regole europee dello stato di diritto, quello stato di diritto che bisogna difendere. In Italia e in Europa. Ci vorrebbe un monsieur Nordio a Bruxelles.