Le contadine emiliane che, nella calura d’estate, stampavano a mano le tovaglie della festa con blocchi in legno, attraverso l’utilizzo di colori naturali, disegnando uva e viti, mentre le signore più anziane al riparo dal sole si dedicavano all’arte del tricot, creando uncinetti dai ricami naïf.
Parte da qui la collezione realizzata da Marco Rambaldi x Twinset. Bolognese tra i nomi più rilevanti della new wave italiana, Rambaldi è stata la scelta naturale secondo l’Ad Alessandro Varisco, milanese da otto anni di stanza a Carpi, dove Twinset è nata. E non potrebbe essere altrimenti, vista la provenienza geografica di Rambaldi e la sua ossessione per il tricot, perseguita nel suo brand, e che si esprime su abiti e total look in colori accesi, assai amati dalla Gen Z.
Maglioni ricamati, crop top in nuance naturali, vestiti bodyconscious con disegni jacquard perfetti per una sera di fine estate, sono il risultato di questa collezione (inserita nella fall-winter 2023 e però già presente in alcuni monomarca del brand e sul suo store online) che rispecchia l’estetica sognante di Rambaldi e la sua visione dedita al riciclo. «Vivo questo territorio e lo amo moltissimo, è un posto di gente fattiva», spiega Varisco quando lo intervistiamo, al tavolo di un bagno di Forte dei Marmi, in occasione della presentazione della collezione. Parlantina sciolta e un caffè shakerato già quasi consumato accanto a lui, Varisco parla di un manifesto privo di ipocrisie, quello della sostenibilità.
«La moda in questo senso ha ancora moltissimo da fare: a Carpi abbiamo iniziato misurando l’impatto ambientale dell’azienda, scoprendo che ad esempio un chilogrammo di lana produce 7,5 chilogrammi di CO2, mentre un chilogrammo di terital (fibra sintetica, ndr) ne produce 0,7, ma è molto difficile che le aziende vogliano usarla, anche perché, di base, prendi fuoco se uno fuma a dieci metri di distanza», ironizza.
La quadratura del cerchio si è però trovata con il Treeblend, consistenza tessile esclusiva di Twinset, alla base della collaborazione con Marco Rambaldi: il filato riciclato è ottenuto usando infatti gli scarti della stessa azienda, adeguando poi il processo produttivo delle maglie a metodologie di risparmio energetico (ad esempio, attraverso l’utilizzo delle macchine Shima che producono integralmente il capo senza bisogno di lavorazioni successive).
Abituato a lavorare con la maglieria, Rambaldi è stato così la scelta perfetta per questa collezione che è «solo al suo inizio», ci tiene a specificare Varisco, prevedendo nuovi e futuri capitoli collaborativi. «Per me è stato facile lavorare con un unico materiale e un unico filato, ma su diverse finezze», conviene Rambaldi, «queste limitazioni sono solo apparenti, sfidano la creatività, ti invitano a trovare soluzioni alternative, e poi la vicinanza geografica e di valori ha agevolato il tutto».
La democraticità è inoltre in un prezzo competitivo, diverso da quello delle grandi maison, senza che a perderne sia la qualità dei capi, che poi vengono lavati attraverso speciali washing balls, solo tramite saponi naturali che riducono del settanta per cento l’uso di acqua e dell’ottantacinque per cento quello dell’energia elettrica. Il packaging, infine, è in carta o cartone riciclati e la rivendita ai reseller viene effettuata mandando campioni virtuali modellati in 3D, evitando la produzione di ulteriore pezzi fisici.
Una joint-venture che ha portato ad entrambi il regalo di uno sguardo nuovo sulle cose: se, nelle parole di Varisco, «lavorare con Marco ci ha regalato una prospettiva diversa, gentile, su quello che è possibile fare in questa azienda», per Rambaldi è stata più «la possibilità di conoscere chi lavora sul prodotto, le magliaie, chi smacchina o chi realizza i programmi al pc tramite i quali si trattano i jacquard: parlare con loro ti mette di fronte al fatto che certe problematiche, che sembrano insormontabili quando hai un brand tuo, in una realtà più strutturata sono risolvibili più facilmente».
I disegni diventano così intarsi, jacquard, memorie tessili di una regione dal sapore antico, e che negli ultimi anni ha prodotto alcuni dei creativi più interessanti del contemporaneo: non solo Rambaldi, ma anche il bolognese Luchino Magliano, o anche Federico Cina, nativo di Sarsina, nell’area Forlì-Cesena, che diede i natali anche a Plauto.
«Da milanese prestato all’Emilia-Romagna credo che i designer che vengono da questa Regione stiano trovando riconoscimenti oggi, anche perché, oltre ad essere persone storicamente aperte alla contaminazione, accoglienti, pratiche, hanno la capacità di mantenersi distaccati, un rifiuto del concetto di tribù», spiega Varisco. «In questo modo riescono a leggere il contesto socio-culturale, così centrale per chi fa questo lavoro, in maniera più concreta, diretta, senza mediazioni».
Una posizione sulla quale Rambaldi, che è tornato a vivere nella sua Bologna durante il lockdown, abbandonando Milano, non ha dubbi: «L’Emilia-Romagna è geograficamente centrale e vicina a Milano, ma conserva questa dimensione profondamente provinciale e disincantata, pura. Il nostro sentirci messi da parte, lontani da dove le cose succedono, in questo caso torna utile: mettere la giusta distanza tra noi e il mondo degli addetti ai lavori, immersi in un universo per certi versi tossico, ti dà modo di respirare e vedere le cose per quelle che sono». E, a guardare il risultato della collezione, non si potrebbe essere più d’accordo.