Gambe pesanti, respiro sempre più corto, cuore palpitante. Gli ultimi passi, lenti e sfibranti, sono merito di quella determinazione interiore tenuta in serbo per le occasioni speciali, come il trekking stagionale che ogni anno ci imponiamo per amor della salute (e della natura). E così, metro dopo metro, ci avviciniamo alla nostra meritata ricompensa: un panorama mozzafiato, da godere in compagnia di un bel panino di segale farcito con abbondante speck e formaggio di malga. E non dimentichiamo il bicchiere di vino, indispensabile completamento del binomio felice.
Questo è lo Speck Alto Adige Igp nell’immaginario di molti: una gioia fugace da consumare come spuntino tra due fette di pane, oppure come protagonista dell’antipasto ormai collaudato per la cena a tema Südtirol, romantico rituale che celebra il ritorno dalle vacanze estive. Ma ci sono tanti altri modi, elaborati a piacere, per gustare al meglio questo prosciutto crudo leggermente affumicato. Tanto inconfondibile, quanto misterioso.
In Alto Adige, nella provincia più settentrionale d’Italia, la cultura mediterranea e quella nordica si incontrano con la complicità di un clima unico nel suo genere: trecento giorni di sole all’anno e tanta aria pura di montagna. Sono questi i fondamenti della tradizione che unisce due metodi di conservazione del prosciutto: l’affumicatura, a nord delle Alpi, e la stagionatura all’aperto, a Sud. Dalla loro fusione nascono le antiche ricette delle famiglie altoatesine, tramandate di generazione in generazione e fedeli alla regola aurea “poco sale, poco fumo e molta aria”.
Sebbene i primi documenti in cui si parla di “speck” risalgano al diciottesimo secolo, la sua esistenza fa comparsa scritta già nel 1200, sottoforma di longevo derivato dei suini macellati nel periodo natalizio. Con il passare del tempo, da elemento basilare della dieta del contadino è stato promosso a prelibatezza da banchetto. Ampiamente diffuso su tutto il territorio nazionale, lo speck può vantare la denominazione Igp solo se proveniente dalle ventotto aziende riconosciute dal Consorzio Tutela Speck Alto Adige: il marchio a fuoco sulla cotenna, insieme alla tipica pettorina verde con il logo, rappresenta i rigidi criteri di produzione che queste sono tenute a rispettare, garantendo il libero accesso ai controllori dell’Istituto indipendente IFCQ in ogni fase della lavorazione del prosciutto.
Il presupposto necessario a ottenere uno speck di qualità è la materia prima: solo cosce suine magre, sode, provenienti da allevamenti riconosciuti, controllati e appartenenti a Paesi dell’Unione Europea. Dopo essere state tagliate secondo i metodi tradizionali, le “baffe” vengono sottoposte a tre processi: salmistratura, affumicatura, stagionatura. E proprio nel primo trova concretezza il segreto gelosamente custodito da ciascun produttore, nonché unica licenza creativa ammessa dal disciplinare. Gli ingredienti di base sono per tutti il sale e il pepe, ma la miscela di aromi può cambiare molto: ginepro, alloro, rosmarino, talvolta aglio rosso, coriandolo o cumino. Ogni pezzo è il figlio – unico – di uno studio sartoriale radicato nella storia della famiglia.
Prima di essere affumicati, i prosciutti vengono salmistrati a secco per tre settimane, e girati di tanto in tanto per consentire alla salamoia di penetrare uniformemente. Come per la scelta delle spezie, la frequenza e la modalità dell’operazione sono arbitrarie: alcuni continuano ad aggiungere salamoia ai lati della baffa, altri no; ciò che importa è che il contenuto di sale nel prodotto finale non superi il 5%. Trascorsi ventuno giorni, può cominciare la fase di affumicatura – leggera – alternata all’asciugatura all’aria fresca di montagna. Le regole sono semplici: legno poco resinoso (tipicamente faggio) e temperatura massima del fumo di 20°C (un calore eccessivo farebbe chiudere i pori del prosciutto). Solo così lo speck potrà sviluppare quell’aroma finemente speziato, armonioso e delicato.
E ora la baffa deve “riposare”. Per quanto tempo? Quello che serve a perdere circa un terzo del peso iniziale e acquisire la sua classica consistenza. La stagionatura può durare da venti a trentadue settimane, e deve avvenire in locali freschi e arieggiati, proprio come le vecchie cantine delle aziende agricole: la formazione di uno strato di muffa naturale (rimosso alla fine del processo) è la “prova del nove” che testimonia il giusto equilibrio tra temperatura e umidità; ma serve anche a proteggere lo speck, evitando che si asciughi troppo, conferendo al contempo piacevoli note di noci e porcini.
Finalmente consapevoli dei misteri che si celano dietro il famoso marchio di qualità, siamo pronti a rimuovere la pettorina per gustare il risultato di cotanta fatica. Ma a questo punto abbiamo la responsabilità di non invalidare il lavoro del produttore con un taglio maldestro: che vogliate usare un coltello a lama liscia (ben affilato) o un’affettatrice, ciò che conta davvero è andare sempre contro fibra. A meno che non dobbiate realizzare dadini o bastoncini in quanto funzionali alle vostre ricette, prediligete fette sottili: maggiore sarà la superficie a contatto con l’ossigeno, più forti saranno gli aromi sprigionati; proprio come avviene facendo roteare un calice di vino prima della degustazione.
Se volete stupire i vostri ospiti con un antipasto leggermente più impegnativo di un tagliere, cimentatevi in uno strudel salato semplice semplice. I più ambiziosi potranno preparare una dose di pasta matta, ma se non avete tempo o voglia potete tranquillamente ripiegare sulla pasta brisée pronta all’uso. Stendete (o srotolate) la vostra base, e ricopritela interamente con fette di speck sottilissime; un etto sarà sufficiente. Su queste, andate a disporre in modo omogeneo la stessa quantità di Asiago, sempre in fette sottili. Infine, per restare in tema Alto Adige, completate con uno strato di mele tagliate finemente; un frutto andrà più che bene. Con l’aiuto della carta forno create un bel rotolo, avendo cura di sigillare bene i bordi. Spennellate la superficie con un tuorlo d’uovo, decorate con i semi di papavero (che fanno sempre scena), e infornate a 180 °C per 20-30 minuti, tenendo d’occhio il colore.
Dopo aver terminato il vostro manicaretto, non dimenticate di riporre lo speck in frigo: avvolto in un panno di stoffa o conservato tra due piatti fondi potrà durare diverse settimane. E nel caso dovesse presentarsi qualche muffa aromatica, niente paura! Tagliatela e godetevi il resto del vostro speck, magari come aperitivo improvvisato nell’attesa che sia pronta la cena.