Secondo le rilevazioni dell’Istat sull’anno 2021, il 45,7 per cento degli italiani tra i 16 e i 74 anni vanta delle competenze digitali almeno di base. Questo dato, che oltretutto ci porta ad occupare le ultime posizioni della graduatoria europea con un notevole divario con gli Stati che, invece, si attestano nelle posizioni apicali, è aggravato dall’ulteriore divario di genere a favore degli uomini, che, in Italia è di 5,1 punti percentuali. Anche se, c’è da dire, fino ai 44 anni tale distanza si annulla, e in alcuni casi si inverte di segno.
Nel nostro Paese, afferma l’Istat, è anche presente un forte gradiente tra Centro-Nord e Mezzogiorno: fatta eccezione per la Sardegna, che si attesta sul valore medio, le Regioni dove le competenze digitali almeno di base sono più diffuse sono il Lazio (52,9 per cento), seguito dal Friuli-Venezia Giulia (52,3 per cento) e dalla Provincia Autonoma di Trento (51,7 per cento).
Una maggiore concentrazione di competenze digitali più avanzate si evidenzia nei domini della “Comunicazione e collaborazione” (75,8 per cento) e della cosiddetta “Alfabetizzazione su informazioni e dati” (58,5 per cento) rispetto a quelli legati alla “Risoluzione di problemi” (47 per cento), alla “Creazione di contenuti digitali” (41 per cento) e alla “Sicurezza” (36 per cento) e nelle imprese con almeno duecentocinquanta addetti (75,0 per cento) e di quelle del settore ICT (64,1 per cento). Va detto che le Pmi italiane sono tra le prime in Europa a esternalizzare la gestione delle funzioni Ict (il 57,2 per cento utilizza solo consulenti esterni).
«In un mondo che ha appena vissuto il suo inizio di giugno più caldo mai registrato, dopo un maggio che è stato meno di 0,1°C più freddo del maggio più caldo mai registrato – come ci segnala il Copernicus climate change service (C3S) – il monitoraggio del clima è più importante che mai per determinare quanto spesso, e per quanto tempo, gli aumenti delle temperature globali superano 1,5°C».
Capire quanto ogni singola frazione di grado sia importante per evitare conseguenze ancora più gravi è essenziale. E invece, anche se il digitale è uno dei migliori strumenti che abbiamo a disposizione per gestire le complesse sfide poste dalla sostenibilità, ancora oggi, purtroppo, più di un quarto dei cittadini italiani non avendone competenza lo sottostima.
Stando ai risultati della ricerca “Sustainable Energy & Environment – Cosa pensano gli italiani del rapporto tra digitale, energia e ambiente”, per esempio, pur sapendo che il digitale ha un proprio impatto, la maggior parte di noi non è pienamente consapevole di quanto questo sia forte: alla domanda «quanto consuma un’ora di streaming a settimana nel corso di un anno», solo il quattro per cento sa stimarlo in maniera corretta, contro un novantasei per cento che ha, invece, la percezione di un impatto energetico del digitale più basso.
Alla luce dei fatti, dunque, possiamo dire che il digitale per i nostri connazionali è ancora un territorio scarsamente esplorato sia per l’acquisizione di competenze personali e professionali, sia per la maturazione di una conoscenza di utilizzo virtuoso ai fini della sostenibilità. Occorre quindi attivarsi quanto prima per favorire lo sviluppo di una consapevolezza diffusa sul tema, e non solo per minimizzare gli impatti negativi di un errato utilizzo di tali strumenti.
Formare adeguatamente i cittadini sulla sostenibilità digitale affinché abbiano i giusti strumenti tecnologici e, allo stesso tempo, culturali è una sfida che, stando alla mappatura che i dati ci restituiscono, le istituzioni stanno perdendo, sia in termini di commitment reale sia di visione strategica.