Lo scorso 20 giugno, diverse decine di forze della Polizia di Stato e dell’unità speciale anti-terrorismo sono intervenuti all’interno del campo Ashraf 3 con un ordine di ispezione emesso dalla Struttura Speciale Contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata (Spak), nell’ambito dell’operazione investigativa su un presunto coinvolgimento di alcuni mujaheddin in attività di interferenza in sistemi informatici e di terrorismo.
I membri del Mek (Mojahedin-e Khalq) hanno opposto resistenza alle forze dell’ordine, nel tentativo di impedire alle autorità l’ispezione dei loro ambienti, con la pretesa che non erano stati avvisati prima. Per disperdere la folla, la polizia ha fatto uso di gas lacrimogeni e spray al peperoncino.
L’intervento della polizia è seguito al procedimento registrato dallo Spak il 15 maggio scorso per sei capi d’accusa nei confronti di membri del Mek, tra cui il reato di «provocazione di guerra», «intercettazioni illegali di dati informatici», «interferenza nei sistemi informatici».
Nello scontro sono rimasti feriti quindici agenti, diversi automezzi sono stati danneggiati e ventuno mujaheddin sono stati soccorsi in ospedale per accertamenti. È stato riferita la morte di un membro del Mek di settantanove anni, con precedenti problemi cardiaci. Dai primi accertamenti non risultano segni di violenza sul deceduto e si attende la perizia medico-legale.
Il ministro degli Interni, Bledar Çuçi, ha subito dichiarato che la sua morte «non è stata causata da nessuna azione delle forze dell’ordine». Inoltre, si è detto indignato per la reazione del Mek nei confronti della polizia e ha affermato che le autorità giudiziarie dovranno procedere nelle indagini sulle responsabilità: «Non è solo una violazione della legislazione albanese per chi vive nel paese, ma anche una sorta di violazione del codice di ospitalità che abbiamo offerto».
Nonostante le tensioni, l’operazione si è conclusa con il sequestro di circa centocinquanta dispositivi elettronici, computer e server, che si sospetta siano stati utilizzati dai membri del Mek nelle loro attività contro le autorità governative iraniane.
Il campo Ashraf 3 si trova a Manzë, una frazione del comune di Durazzo, composto da centovetisette edifici distribuiti su un terreno di quaranta ettari. È stato costruito quasi dal nulla e sembra un villaggio fortificato, ed è sotto il controllo di telecamere di sicurezza. Ospita circa tremila abitanti, tutti membri dell’Esercito di Liberazione Nazionale dell’Iran, conosciuto anche come Mojahedin-e Khalq (Mek).
Poco si conosce del funzionamento del campo. Il Mek ha sempre rifiutato di parlare ai giornalisti e le poche informazioni, che si hanno, sono emerse dagli sporadici racconti dei pochi ex membri che sono riusciti a distaccarsi dall’organizzazione, ricostruendosi una nuova vita a Tirana. Nei pochi racconti si evince che all’interno del campo vige un regime gerarchico e militare, e il quasi totale isolamento dall’esterno e dai familiari.
Di matrice di estrema sinistra, il Mek è stato fondato nel 1965 per contrastare il regime dello scià Mohammad Reza Pahlavi in Iran. Nel corso degli anni, si è convertito nel principale gruppo oppositore del regime degli Ayatollah, costruendo un profilo controverso. Tuttora non è noto chi finanzia le loro attività.
Nel 2012, il governo di centro-destra dell’ex-premier Sali Berisha ha accettato la proposta dell’amministrazione Obama per il ricollocamento in Albania di circa duecento membri del Mek. I media ritengono che l’unica condizione posta dall’Albania agli americani sia stata quella di rimuovere il gruppo dalla lista delle organizzazioni di matrice terroristica, dove era stata inserita dagli USA nel 1997. E così è stato.
Con l’arrivo al governo dei socialisti di Edi Rama nel 2013, il numero dei mujaheddin ospitati nel campo è aumentato ulteriormente, e nei tre anni successivi ha raggiunto le tremila persone. L’impegno assunto dall’Albania prevede la loro ospitalità per motivi umanitari, e per il loro ricollocamento gli Stati Uniti hanno contribuito con venti milioni di dollari, con il diretto coinvolgimento dell’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr).
Le reazioni
In passato i principali partiti politici hanno espresso un generale consenso all’ospitalità offerta al Mek, salvaguardando così i rapporti con gli Stati Uniti. Oggi, diversi esperti di sicurezza ritengono però che in questi anni le autorità albanesi non abbiano monitorato adeguatamente l’operato del Mek sul territorio nazionale, considerati anche il profilo e il coinvolgimento in attività paramilitari dell’organizzazione.
A questo proposito, nei giorni scorsi è apparso sui social media parte di un documento del 2018 siglato dall’ex capo della polizia Ardi Veliu, dal quale emerge che la presenza dei mujaheddin poteva essere fonte di instabilità e seria minaccia per la sicurezza nazionale. Al momento, non è stato possibile verificare quali misure siano poi state prese effettivamente dalle autorità per contrastare tale potenziale pericolo.
In base alle dichiarazioni del viceministro degli Interni, Julian Hodaj, rilasciate a Euronews Albania pochi giorni fa, che le autorità non intendono recedere dall’accordo di ospitalità dei membri del Mek e ha ribadito che non verrà perseguita l’intera comunità ospitata: «Le responsabilità penali sono individuali e i singoli che hanno commesso i reati pagheranno le dovute conseguenze, dalle pene alla deportazione, ma questo non ha nulla a che fare con la collettività».
A sostegno delle autorità albanesi è giunto anche il comunicato del Dipartimento di Stato americano, che riconosce il diritto delle autorità albanesi di indagare su ogni possibile attività illegale all’interno del territorio nazionale: «La polizia albanese ci ha assicurato che l’operazione della polizia si è svolta in conformità con le leggi in vigore».
L’ex procuratore per gravi reati, Eugen Beci, ha dichiarato il 28 gugno che in termini giuridici non è stato stipulato un vero e proprio accordo tra le autorità albanesi e il Mek. Con l’intermediazione dell’Unhcr e in conformità alle convenzioni internazionali, tutti i membri del Mek hanno firmato una lettera d’impegno in cui dichiarano di non occuparsi di politica durante il loro soggiorno sul suolo albanese.
L’escalation degli eventi degli ultimi mesi ha inciso negativamente sulla percezione generale dell’opinione pubblica nei confronti dell’Iran, e di riflesso anche nei confronti dei membri del Mek. I dati del Barometro sulla Sicurezza Nazionale, dimostrano che nel 2019 solo il 27,9 per cento dei cittadini intervistati riteneva Teheran un potenziale pericolo per la sicurezza del paese, mentre nel 2022 tale percezione viene condivisa da tre cittadini su quattro.
I rapporti con l’Iran
A seguito del trasferimento dei mujaheddin in Albania, i rapporti tra Tirana e Teheran si sono deteriorati significativamente. Nel dicembre 2018, il governo albanese ha chiesto l’allontanamento dal territorio nazionale dell’ambasciatore iraniano Gholamhossein Mohammadnia e di un secondo diplomatico, in quanto sospettati di attività che minavano la sicurezza del paese.
Di contro, in una nota verbale inviata dal ministero degli Esteri iraniano ai colleghi albanesi veniva riportato che le autorità iraniane avevano arrestato tre squadre di matrice terroristica sul proprio territorio, che erano state addestrate nel campo dei Mek in Albania.
Nel corso del 2022 le istituzioni albanesi hanno subìto una serie di attacchi informatici che si sospetta siano stati condotti da hacker affiliati al governo dell’Iran, che hanno causato il blocco di diverse attività governative – ad esempio la piattaforma di servizi pubblici e-Albania e il sistema di controllo della polizia di frontiera TIMS – e la diffusione di una grande mole di dati sensibili dei cittadini. Nonostante i diversi milioni di dollari forniti dagli Stati Uniti all’Albania per il rafforzamento dei propri sistemi informatici, questi attacchi cibernetici hanno dimostrato le falle dei sistemi di sicurezza albanesi, paralizzando l’operato dello stato per diversi giorni.
Di fronte alle accuse di un suo coinvolgimento negli attacchi informatici del 2022, non è mancata la reazione del governo di Teheran, negando qualsiasi responsabilità. Il fascicolo investigativo della Spak riporta per altro che gli attacchi cibernetici del 2022 contro l’Albania sono identici a quelli subiti dall’Iran alcuni mesi prima, di cui sono reputati responsabili i membri del Mek. Dall’estate 2022 l’Albania ha quindi deciso di interrompere le relazioni diplomatiche con Teheran.