Lo scambio di lettere tra monsignor Luigi Bettazzi, il vescovo di Ivrea spentosi l’altra notte alla fatidica soglia dei cento anni, e il segretario del Partito comunista Enrico Berlinguer (1976-1977) è uno dei fatti politico-culturali più importanti dell’ultimo mezzo secolo. Stiamo parlando di un’altra Italia rispetto a quella di oggi. Gli steccati tra cattolici e comunisti – le due grandi “chiese” italiane – erano stati sempre alti soprattutto a livello religioso e dottrinario (sul piano strettamente politico le cose furono, diciamo così, più dinamiche) ma da entrambe le “chiese” veniva avanti ormai da almeno un decennio un avvicinamento lento, un parlarsi guardingo, uno sfrondare antiche inconciliabilità.
Il Concilio Vaticano II aveva aperto nuovi orizzonti e dall’altra parte l’ultimo Palmiro Togliatti, soprattutto col discorso di Bergamo del 1963, si era interrogato sul «destino comune» dinanzi al pericolo atomico. Berlinguer era andato oltre, spinto dal suo consigliere ideologico Franco Rodano, grande intellettuale diremmo oggi catto-comunista se il termine non suonasse dispregiativo, e dal suo segretario particolare, il cattolico Antonio Tatò.
Ma fu monsignor Bettazzi a prendere l’iniziativa: «Onorevole – scrive il vescovo di Ivrea il 6 luglio 1976 (due settimane prima il Partito comunista italiano aveva preso il trentaquattro per cento dei voti alle elezioni, ndr) Le sembrerà forse singolare, tanto più dopo le ripetute dichiarazioni dei vescovi italiani, che uno di loro scriva una lettera, sia pure aperta, al Segretario di un partito, come il Suo, che professa esplicitamente l’ideologia marxista, evidentemente inconciliabile con la fede cristiana. Eppure mi sembra che anche questa lettera non si discosti dalla comune preoccupazione per un avvenire dell’Italia più cristiano e più umano».
Bettazzi fa un discorso molto giovanneo: «Tanti, soprattutto operai, immigrati, diseredati, guardano a voi come a una speranza di rinnovamento, in una società in cui essi non trovano sicurezze per il loro lavoro, per i loro figli, per una loro sia pur minima infiuenza nelle decisioni che coinvolgono tutti. Penso a quelli che hanno votato per voi e sono cristiani, e non intendono rinunciare alla loro fede religiosa, che anzi – forse nella sofferenza per la “disobbedienza” alla gerarchia – pensano così di promuovere una società più giusta, più solidale, più partecipata, quindi più cristiana». Dunque Bettazzi cerca di capire le ragioni del successo del Pci anche tra i cattolici e ritiene di intravederle nella aspirazione dei deboli a una società migliore, in oggettiva convergenza con il pensiero conciliare, aspirazione talmente forte da porre in secondo piano gli aspetti più stringenti dell’ortodossia (di qui la “disobbedienza” – si notino le virgolette – alla gerarchia).
Insomma una mente illuminata come quella del vescovo di Ivrea comprende forse anche con un tocco di meraviglia che nella realtà storica certi steccati religiosi sono di fatto già saltati forse anche perché il Pci «sembrerebbe tendere a realizzare un’esperienza originaria di comunismo, diversa dai comunismi di altre nazioni», scrive riferendosi alle recenti affermazioni di Berlinguer, prima di inviargli la richiesta di «una particolare coerenza» a proseguire sulla strada del rinnovamento ideologico avendo cura di superare atteggiamenti e condotte antireligiose che vivevano soprattutto nella base comunista. Bettazzi sceglie un atteggiamento che rifiuta di lasciarsi dominare da timori legati a esperienze passate, si mostra sensibile ai fermenti operanti nel presente, è aperto a una ragionevole speranza per il futuro, e, più in radice, è fiducioso nell’uomo e nella sua naturale capacità di aprirsi al bene.
Il segretario del Pci risponde dopo un anno (e se ne scusa) forse aspettando il maturare degli eventi politici nel senso di un ulteriore intensificazione del dialogo con la Dc e con Aldo Moro in particolare, un percorso, come ormai sappiamo, piuttosto difficile. E certamente Berlinguer avrà istruito il lavoro per la risposta al vescovo con un lungo lavoro che coinvolse altre personalità del mondo cattolico, tra le quali probabilmente i cattolici eletti nelle liste del Pci come indipendenti, una questione che aveva allarmato settori della Chiesa. E alla fine coglie ben volentieri la sollecitazione del vescovo di Ivrea.
La risposta è molto articolata. È evidente che la scrittura è la sua così come sono chiaramente suggeriti certi riferimenti “alti”: ed è eminentemente una risposta politica tutta tesa ad affermare la laicità del partito e a confermare non solo l’interesse verso le pulsioni più aperte del cattolicesimo così come scaturivano dal Concilio, dalla Pacem in terris e poi alla montiniana Gaudium et spes ma anche la necessità, ideale e storica, di un incontro tra cattolici e comunisti, che d’altronde era il succo del compromesso storico elaborato nel 1973.
È il Berlinguer che sulla scorta di Rodano legge le ultime elaborazioni di Giovanni XXIII e – meno – Paolo VI secondo una lente anticapitalista, quella che accomuna per lui cattolici e comunisti. Non mancano gli aspetti rassicuranti esposti con tono diciamo così definitivo: «Per quanto riguarda il Pci – scrive Berlinguer – Lei non troverà mai in noi, signor Vescovo, le astrattezze settarie o il freddo statalismo di certi ministri francesi della fine del secolo scorso, quali un Ferry o un Combes. Per quanto riguarda i cattolici e le loro organizzazioni, il nostro auspicio è che essi, invece di farsi soltanto i custodi gelosi delle loro istituzioni, soprattutto si impegnino e partecipino al buon funzionamento democratico e al rigore economico dei fondamentali servizi di una società democratica. Noi comunisti vogliamo una società organizzata in maniera tale da essere sempre più aperta e accogliente anche verso i valori cristiani; non vogliamo, però, una società “cristiana” o uno Stato “cristiano”: e non già perché siamo anticristiani, ma solo perché sarebbero anch’essi una società e uno Stato “ideologici”, integralisti».
È questo il Pci «né teista, né ateista, né antiteista». Laico e non laicista. Dalla lettera di Bettazzi insomma Berlinguer trae ulteriori motivi per insistere sulla strategia del compromesso storico preparando ulteriori strappi sulla strada del revisionismo ideologico: nel 1979 il XV Congresso del Pci abolirà (con qualche anno di ritardo) il riferimento al marxismo-leninismo, premessa per la rottura definitiva con il comunismo sovietico (1981).
Ecco dunque perché la figura di monsignor Luigi Bettazzi occupa un posto di assoluta importanza nella storia delle idee, se possiamo dir così, oltre che nella stretta vicenda politica: la sua lettera a Enrico Berlinguer resta un snodo di altro valore culturale e morale nella vicenda italiana.