Ormai da parecchio tempo il dibattito pubblico torna ciclicamente sulla questione del cosiddetto salario minimo. Partiti, sindacati e aziende dibattono, anche con toni piuttosto accesi, sull’opportunità di fissare per legge un importo minimo con cui remunerare la prestazione lavorativa dei dipendenti. Al momento l’ipotesi più chiacchierata fissa la soglia invalicabile intorno ai 9 euro lordi per ogni ora di lavoro. Uno degli argomenti più utilizzati per sostenere la necessità di istituire il cosiddetto salario minimo è la proliferazione dei cosiddetti contratti pirata che si è registrata in Italia negli ultimi anni.
I cosiddetti contratti pirata sono accordi che spesso vengono sottoscritti dai datori di lavoro con organizzazioni sindacali di comodo per consentire alle aziende di ridurre il costo del lavoro, anche attraverso il mancato riconoscimento di alcuni diritti previsti dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (“Ccnl”) sottoscritti dai sindacati maggiormente rappresentativi. Una prassi che è stata oggetto di censure da parte dei Tribunali e che desta sempre enorme scandalo quando viene affrontata sui mass media. I numeri possono aiutarci a dare una giusta dimensione al problema.
Secondo alcune stime, i Ccnl firmati dai tre sindacati più importanti – Cgil, Cisl e Uil – si applicano al 97% dei dipendenti italiani e prevedono in larga parte un salario superiore ai 9 euro lordi attualmente oggetto di discussione. Altri dati ci dicono comunque che mentre i primi 54 Ccnl coprono il 75% dei lavoratori, i restanti 879 Ccnl sono applicati soltanto al 25% dei dipendenti. In generale emerge come una grande quantità di cosiddetti contratti pirata sia applicata a un numero relativamente basso di persone.
La necessità di assicurare uno stipendio dignitoso a chi lavora è reale oltre a essere espressamente prevista dalla Costituzione. Favorire l’applicazione dei Ccnl siglati dai sindacati maggiormente rappresentativi a discapito dei cosiddetti contratti pirata può rappresentare una soluzione efficace al problema, perché evita di ingabbiare la retribuzione nella rigidità di una legge e, al contempo, riconosce ai sindacati più strutturati la forza di negoziare con le aziende. Ma, come per tutte le soluzioni ragionevoli, anche in questo caso temo che la politica prenderà una strada diversa. E con questa pillola di saggezza e ottimismo vi do appuntamento alla prossima settimana.
*La newsletter “Labour Weekly. Una pillola di lavoro una volta alla settimana” è prodotta dallo studio legale Laward e curata dall’avvocato Alessio Amorelli. Linkiesta ne pubblica i contenuti ogni. Qui per iscriversi