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SemplificazioneMeno causali e maggiore flessibilità, le novità del decreto lavoro sui contratti a termine

Adecco Italia ha organizzato un webinar per spiegare nel dettaglio le novità introdotte dal nuovo provvedimento

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Il decreto lavoro del governo Meloni, che rappresenta la dodicesima riforma del mercato del lavoro dal 1997 a oggi, ha apportato significative modifiche anche ai contratti a tempo determinato. Dal 1997, si sono succeduti 16 governi e 14 ministri del Lavoro, che hanno introdotto normative diverse, spingendo imprese e operatori del mercato del lavoro ad adattarsi di volta in volta.

In occasione della conversione in legge del decreto lavoro, Adecco Italia ha organizzato un webinar per spiegare nel dettaglio le novità introdotte dal nuovo provvedimento che, tra le varie cose, interviene sulle causali dei contratti a termine, anche quelli in somministrazione, e con novità importanti anche sullo staff leasing.

«Questo è un momento molto positivo per il mercato del lavoro. Il tasso di occupazione ha raggiunto il livello più alto che si sia mai registrato dal 2009 ad oggi, e il decreto lavoro va nella direzione di dare continuità a questa dinamica favorevole», ha spiegato Claudio Soldà, Csr & Public Affairs Director di The Adecco Group Italia. «Il decreto, e successivamente la legge di conversione, modificano il decreto dignità, in continuità con ciò che aveva fatto il governo Draghi, in un contesto in cui i contratti a termine incidono nel mercato per il 16%, in linea con la media europea».

Ma quali sono queste novità? Durante il webinar, Andrea Morzenti, Senior Manager Legal Department di The Adecco Group Italia, e Roberto Romei, professore ordinario di Diritto del Lavoro all’Università Roma Tre, hanno spiegato il provvedimento nel dettaglio.

«Il decreto lavoro non interviene stravolgendo l’impianto normativo originario», dice Morzenti. «Non vengono modificati i limiti percentuali, né la durata dei contratti, che deve restare entro il limite di 24 mesi. Non viene modificato nemmeno il contributo addizionale del +0,5%. Il decreto interviene invece sulle causali del contratto a tempo determinato, andando ad abrogare quelle previste dal decreto dignità, che di fatto erano causali inapplicabili». Inoltre, «la legge di conversione è intervenuta garantendo una maggiore flessibilità per i rinnovi dei contratti a termine». Saranno infatti possibili anche i rinnovi, e non solo le proroghe, senza causali, purché venga rispettato il limite massimo di durata di 12 mesi.

Le nuove regole
Resta la regola per cui, fino alla durata di 12 mesi, il contratto a termine può essere stipulato liberamente, senza cioè giustificare perché l’assunzione non avvenga a tempo indeterminato. Oltre i 12 mesi e fino ai 24, il contratto può essere stipulato solo in presenza di una causale. Il decreto lavoro, poi convertito in legge, ha però ridefinito le causali precedenti.

In primo luogo, a giustificare il ricorso al contratto a termine potranno essere le «esigenze previste dai contratti collettivi», delegando quindi alle parti sociali l’individuazione della causale. I contratti che prevedono questa modalità sono diversi, da quello del settore tessile a quello del settore pelletteria.

«La legge», spiega Roberto Romei, «fa riferimento ai contratti collettivi nazionali, territoriali e anche aziendali, siglati da sindacati comparativamente più rappresentativi». Anche il contratto aziendale, quindi, «può intervenire senza dover attendere il contratto territoriale o nazionale. Ci sono situazioni e casi che possono essere trattati solo a livello aziendale. Specialmente per le imprese più piccole, non c’è bisogno di attendere i contratti nazionali: è possibile adeguare le caratteristiche dei contratti a termine alle singole esigenze aziendali».

In assenza di un contratto collettivo, e comunque entro il 30 aprile 2024, il decreto lavoro prevede poi che sia possibile ricorrere al contratto a tempo determinato per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti. Il datore di lavoro e il lavoratore hanno quindi il compito di identificare le specifiche esigenze che inducono a preferire il contratto a termine rispetto all’assunzione a tempo indeterminato. Un ritorno al “causalone” del 2001, secondo qualcuno, ovvero la causale generica che aveva fatto esplodere i ricorsi in tribunale. «Dal 2001 a oggi, sono intervenute diverse novità normative. Il fatto stesso che la durata massima resti di 24 mesi dà la connotazione di temporaneità al ricorso a contratto a termine e di somministrazione», dice Romei. «In ogni caso, occorre che le causali vengano individuate nel modo più concreto e preciso possibile».

L’ultima motivazione prevista per ricorrere al contratto a tempo determinato è la sostituzione di altri lavoratori.

Fino al 4 maggio, la possibilità di stipulare contratti fino a 12 mesi senza causale era circoscritta alla prima assunzione e alle successive proroghe, non a eventuali rinnovi. E così è stato anche dopo l’entrata in vigore del decreto lavoro, il 5 maggio, fino alla sua conversione. Qui le cose sono cambiate nuovamente perché la legge 85/2023, in vigore dal 4 luglio, ha aggiunto anche la possibilità di rinnovare liberamente il contratto, senza causali, fino a 12 mesi.

«È una novità che rende più flessibili, e non di poco, i contratti a tempo determinato e in somministrazione», commenta Romei. «Ma su come vadano conteggiati questi 12 mesi, ossia come anno solare o come cumulo di periodi, ci sono diverse interpretazioni».

Inoltre, la legge di conversione del decreto lavoro ha reso più semplice anche il contratto in staff leasing, intervenendo sui limiti percentuali. «Resta il limite per cui i lavoratori somministrati con contratto di staff leasing non possono superare il 20% del numero di lavoratori assunti a tempo indeterminato dall’utilizzatore», spiega Andrea Morzenti, «ma si prevedono due esenzioni: i lavoratori in apprendistato e quelli svantaggiati, che vengono esclusi dal computo del 20%».

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