A 97 anni è morto uno degli ultimi grandi politici della Prima Repubblica: Arnaldo Forlani. L’ex segretario della Democrazia Cristiana si è spento nella sua casa di Roma. A darne notizia è stato il figlio Alessandro che però non ha specificato le cause della morte. Nato a Pesaro l’8 dicembre del 1925, Forlani è stato uno dei politici più longevi della Dc, ricoprendo più volte la carica di ministro, presidente del Consiglio e segretario in diverse fasi politiche.
Deputato per nove legislature dal 1958 al 1994, fu soprannominato «coniglio mannaro» dal giornalista Gianfranco Piazzesi per la sua capacità di nascondere l’ambizione politica e la determinazione nel ricoprire ruoli di potere con un atteggiamento in pubblico dimesso. Il suo eloquio pacatamente forbito con cui riusciva a mandare precisi messaggi politici usando lunghi giri di parole senza mai attaccare direttamente gli avversari è diventato il modello per descrivere il tipico atteggiamento democristiano. La qualità di incidere dietro le quinte nelle varie svolte politiche della Dc fu riconosciuta anche dai giornali stranieri che usarono eufemismi meno calzanti di coniglio mannaro. L’Economist lo definì un «tranquillo manager», mentre per il Financial Times era «supremamente adattabile» a ogni situazione.
Sempre contrario a qualsiasi alleanza con il Partito Comunista, nel tempo si dimostrò un abile tessitore politico, capace di mediare le tensioni interne alle varie correnti della Democrazia Cristiana e nei governi di cui ha fatto parte. Abituato a gestire la sua fetta di potere nel partito dalla retrovie, per tre volte nella sua vita politica fu costretto, suo malgrado, a stare in primo piano.
La prima fu nel 1969 quando venne eletto con una larga maggioranza segretario della Dc dopo essere stato per quindici anni un esponente silenzioso della corrente politica di Amintore Fanfani. Fu decisivo l’accordo con l’area sinistra della Dc guidata da Ciriaco De Mita per mettere in minoranza l’area di destra guidata da Giulio Andreotti. La sua segreteria, che durò fino al 1973, si caratterizzò per il tentativo di posizionare il partito al centro dello schieramento, cercando di stringere alleanze con gli altri partiti di governo, specialmente il Partito socialista italiano, con alleanze anche nei governi locali, nel tentativo di togliere il Psi dall’orbita politica del Pci.
Dopo aver ricoperto nella seconda metà degli anni Settanta il ruolo di ministro della Difesa e degli Esteri, Forlani ritornò alla ribalta politica quando diventò presidente del Consiglio nel 1980, rilanciando la storica alleanza con il PSI di Bettino Craxi dopo gli anni in cui la Dc aveva provato, con diversi segretari, a stringere una alleanza col Pci in nome dell’unità nazionale. Il suo Governo durò solo un anno e cadde a seguito dello scandalo sulla loggia massonica P2, ma pose le basi per i successivi esecutivi del Pentapartito, chiamati così perché oltre alla Dc e al Psi, furono appoggiati costantemente dal Partito repubblicano, quello liberale e socialdemocratico (Psdi).
L’ultima fase politica rilevante di Forlani coincide con la fine della Prima Repubblica. Diventato nuovamente segretario della Dc nel 1989 al posto di Ciriaco De Mita, Forlani strinse un’alleanza con lo storico nemico di sempre, Giulio Andreotti, e Bettino Craxi, formando il celebre CAF, che trainò gli ultimi due governi della legislatura.
Il 1992 può essere considerato l’anno della fine della sua parabola politica quando non riuscì da favorito a diventare presidente della Repubblica, perché fu tradito dai voti contrari a scrutinio segreto di molti esponenti del suo partito (tra cui tanti andreottiani). Travolto dallo scandalo di Tangentopoli fu condannato a due anni e quattro mesi di reclusione per finanziamento illecito nel processo Enimont. Pena che non scontò in carcere ma svolgendo servizio sociale con la caritas. L’interrogatorio condotto dal pm Antonio Di Pietro nel Tribunale di Milano è diventato uno degli episodi più famosi di Mani Pulite.