Orange is the new white Macerare o non macerare, questo è il dilemma

Gli orange wine sono solo una moda che solca la scia dei vini naturali o una tendenza che rivela un nuovo modo di valorizzare uvaggi e territori di provenienza?

@Gaia Menchicchi

Il vino, come tutto quello che ha a che fare con l’estetica e il gusto, è un mezzo di espressione culturale fatto di trend, totem e corsi e ricorsi storici. Ne sono un esempio lampante i cosiddetti “orange wine”, vini bianchi ottenuti dalla macerazione sulle bucce, molto in auge negli ultimi anni e particolarmente divisivi. Gli orange wine, infatti, difficilmente lasciano indifferenti: c’è chi li ama e, una volta assaggiati, non tornerebbe più indietro e chi, invece, li trova ostici, quasi respingenti, e li ritiene prodotti di moda che omologano il gusto e mortificano il territorio e i vitigni di provenienza. Ne abbiamo parlato al festival di Gastronomika – tenutosi a Milano il 21 e 22 maggio scorsi – durante una lunga chiacchierata con giovani professionisti e professioniste del settore under40, che ha fatto emergere punti di forza, limiti e prospettive di questa tipologia di vini.

@Gaia Menchicchi


Dal metodo al simbolo e viceversa
Al di là delle fazioni, è interessante soffermarsi sugli orange wine per la loro carica simbolica e, cioè, per il loro essere un emblema di quel ritorno al passato che sta investendo il mondo del vino. La macerazione dei vini bianchi sulle bucce, infatti, non è una new entry di questo settore, ma una pratica molto antica utilizzata in pressoché tutte le cantine fino all’arrivo delle moderne tecniche e tecnologie di produzione. Un approccio che, oggi, si pone apertamente in contrapposizione con la ricerca di levigatezza che caratterizza parte della produzione contemporanea. Se, infatti, per dirla con le parole del filosofo Byung-Chul Han, «la levigatezza è il segno distintivo del nostro tempo, ciò che accomuna le sculture di Jeff Koons, l’iPhone e la depilazione brasiliana… e si adatta all’osservatore» (da “La salvezza del bello”, edizioni nottetempo), questo metodo di vinificazione – sdoganato in particolare, ma non solo, nel campo (minato) dei vini naturali – è una delle bandiere di un approccio vitivinicolo poco o per niente interventista e porta con sé, più o meno volontariamente, la capacità di scomodare naso e palato dei consumatori. La moda dei vini arancioni, infatti, rivendica una complessità gustativa fatta di increspature e imprevedibilità se non, addirittura, di eccessi e di difetti e si pone in antitesi alla moda dei vini bianco carta, che ha caratterizzato il mercato degli anni Ottanta e che osannava vini diafani, figli dell’avvento e, a volte, dell’esasperazione, della tecnologia.

@Gaia Menchicchi


Il fine giustifica i mezzi?
Come visto, una parte di produttori e produttrici ha individuato nella macerazione dei vini bianchi, con risultati talvolta eccezionali, una soluzione efficace per valorizzare al meglio le uve e il loro territorio di provenienza. Un’altra buona fetta di addetti al mestiere, però, ritiene invece che questo procedimento non faccia altro che omologare i vini sacrificando, paradossalmente, proprio l’identità territoriale tanto rivendicata. È in questo annodarsi di posizioni che possiamo individuare, in estrema sintesi, il labile confine fra moda e scelta produttiva consapevole. La macerazione sulle bucce, più o meno lunga, di mosti e vini bianchi, infatti, ha molte sfaccettature e può sicuramente aggiungere complessità e carattere al prodotto finale, ma porta con sé il rischio di esporre la materia a un’eccessiva ossidazione e a numerosi difetti. L’equazione vino bianco macerato uguale identità territoriale e autenticità del vino non funziona sempre, dunque, ma anzi, se vissuta in modo dogmatico, “macerare per macerare”, può generare mostri. Volatile alta, tannini amari, sorso pesante o spento, sono solo alcuni degli effetti collaterali di questa tecnica. La macerazione, insomma, altro non è che uno strumento, come può essere la barrique, che se usato bene valorizza il prodotto ma che, se mal gestito o utilizzato in modo aprioristico, sottrae qualcosa sia al vino che al territorio e porta a un appiattimento del gusto.

Il consumatore fra riconoscibilità ed esplorazione
Ci piace ciò che conosciamo e, nel caso del vino, ciò che riconosciamo. Fra le esperienze che più legano il consumatore a una bottiglia, infatti, c’è la possibilità di individuare nel calice dei sentori noti e, magari, familiari. La sensazione, insomma, di avere delle chiavi di decodificazione del prodotto, che consentano di collocarlo in uno o più cassetti della propria memoria gusto-olfattiva, geografica ed emozionale. Una sensazione che, in parte, contribuisce a creare il gusto e a guidare le scelte personali. A questo approccio si affianca, soprattutto fra le nuove generazioni, una spinta a sperimentare, a staccarsi dai gusti dei propri genitori e nonni e a spingersi fuori dalla propria zona di comfort. Dove si posizionano gli orange wine in tutto ciò?

Innanzitutto, sono molto amati dai bevitori dei cosiddetti “vini naturali”, categoria nei quali gli orange wine hanno trovato un alleato, sia per una coincidenza temporale del loro successo, che per una concomitanza di visione e approccio agronomico fra produttori. Bere un vino bianco macerato, quindi, spesso viene associato al bere anche i valori e le idee affini al movimento del vino naturale. Ancora, tanti consumatori amano gli orange wine per la loro capacità di “spettinarli”, di scomodare il loro palato, e poco importa che lo facciano anche attraverso eccessi e difetti. Anzi, volendo essere provocatori, a volte sono proprio questi ultimi a rendere i vini arancioni riconoscibili al palato di chi li beve. Altri ancora cercano i macerati per la loro capacità di riportare in vita e raccontare un metodo arcaico e affascinante di produzione. Inoltre, soprattutto in Italia, una buona parte del successo di questa tipologia di vino si deve a produttori che sono diventati vere e proprie icone della macerazione quali, per citarne due per tutti, Josko Gravner e Stanko Radikon. Ma c’è di più: i vini bianchi macerati sono particolarmente gastronomici e si prestano ad abbinamenti eclettici e sorprendenti. Non è un caso, ad esempio, che siano molto cercati nei Paesi asiatici, dove accompagnano magistralmente l’umami.

@Gaia Menchicchi

Insomma, gli orange wine danno soddisfazione a molti, ma ad altrettanti fanno storcere il naso, tanto che non li berrebbero nemmeno se li ricevessero in regalo.
O li ami o li odi, non ammettono vie di mezzo. Che stia proprio qui parte del successo di questi vini?