Gli sguardi, il movimento delle mani, il tono della voce, labbra che si inarcano, che sorridono, sopracciglia perplesse. Forse non sono parole, le chiavi più belle dell’approccio giovane al vino attorno al tavolo 14 del Festival di Gastronomika.
A fine giornata il cartello con il titolo del tavolo “Il tempo del vino – Boys boys boys” pare aver preso parte alla discussione. Sotto alla scritta, una freccia e un’aggiunta a pennarello “because girls just wanna have fun”.
La cosa più divertente, quando si chiede a un gruppo di giovani di indicare i coetanei che li ispirano di più, è che le caratteristiche che ammirano in loro sono spesso le stesse identiche caratteristiche che ammirano in alcuni personaggi delle generazioni precedenti. Caparbietà, determinazione, carisma, visione, spirito innovativo, coraggio, intraprendenza sono alcuni dei tratti identificati come positivi tanto nelle generazioni di oggi, quanto in quelle di ieri. Così, più che divario generazionale, pare un gioco della Settimana Enigmistica in cui si collegano dei puntini: il disegno che emerge collega due mondi (tempi) in un certo senso speculari, eppure consecutivi. Ma qualcosa di diverso c’è, perché la storia dei giovani di oggi in parte è ciclica e con sfide simili a quelle affrontate dai giovani di ieri, mentre in parte è una linea retta, costruisce un nuovo presente con le caratteristiche di questo tempo diverso.
Speculari, giovani di ieri come giovani di oggi
Quando si parla di approccio giovane al vino si parla fondamentalmente di persone e sono tanti i nomi che escono al tavolo. Tra i partecipanti ci sono molti produttori e ciò che emerge è soprattutto l’approccio a vigna, cantina, comunicazione e marketing.
C’è chi senza esitazione si appunta il nome di Kristian Keber, figlio di Edi e produttore nel Collio goriziano. «Ha carisma e mette passione in tutto quello che fa – dice Marco Florian, agronomo di Simonit e Sirch – anche se non ne condivido sempre le scelte, ammiro la sua chiarezza di idee». Alessia Malandrino lavora da Ceretto e come esempio porta la tenacia di Giulia Negri, la Barologirl di Serradenari, che ha saputo imporsi e portare novità sul territorio. Matteo Micotti invece, divulgatore e content creator con una radice sull’Etna, cita Andrea e Simone Foti de I Vigneri, per il coraggio di affrontare il peso delle aspettative, in un’azienda in cui la generazione precedente è stata pioniera. Ma non ci sono soltanto i figli d’arte. Chiara Mattiello, che cura la comunicazione nell’azienda di Pieropan, indica Daniele Gentile e Gigi Nembrini di Corte Fusia. «Un agronomo e un enologo partiti dal nulla, che nell’arco di dieci anni hanno saputo realizzare un progetto importante per la Franciacorta, valorizzando la coerenza tra territorio e vino», spiega, indicando come, senza avere le spalle coperte, siano riusciti in un «territorio in paillettes» a costruire una comunicazione scanzonata e innovativa.
Gli esempi continuano, Noemi Pizzighella de Le Guaite segnala Diletta Tonello, giovane e intraprendente presidente del Consorzio Monti Lessini Durello, e il Gruppo Giovani della Valpolicella – di cui fa parte – che viene coinvolto dal Consorzio nelle decisioni importanti riguardanti la denominazione. Intanto dalle Cinque Terre arrivano i nomi di Mirko e Laura Cappellini, citati per l’approccio positivo al cambiamento, soprattutto nel linguaggio rivolto al consumatore, come sottolinea Roberto Villa, responsabile marketing di Divinea.
E tra un Walter Massa, un Angelo Gaja e un Giacomo Tachis, accade che le virtù di alcuni giovani del vino di oggi somiglino al fascino di alcuni dei nomi che in questo settore hanno portato avanti cambiamenti importanti e che ancora continuano a contare.
Consecutivi, approccio figlio del suo tempo
Le differenze però ci sono. La prima balza all’occhio facilmente perché tra i nomi dei personaggi importanti per la storia del vino, su dieci solo uno è un nome di donna (Marina Cvetic). Al di là dei luoghi comuni e delle macchiette – perché il discorso sul genere ultimamente rischia di ridursi a questo – nella precedente generazione una differenza di ruolo, o quantomeno di visibilità, tra uomini e donne la si rileva. Questa differenza però, sembra non essere neanche presa in considerazione tra Millennial e Gen Z, perché in questo caso l’inclusività – eccola, una parola chiave per l’approccio giovane al vino – è consuetudine.
Pietro Monti è nel consiglio direttivo della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi) e parla di un’inclusività in senso ampio, nei confronti di tutto ciò che è diverso. Ha perso la vista in un incidente e racconta di come la sua enologa, Francesca di Giusto, abbia spinto per fargli creare un’etichetta in caratteri braille e di come in cantina quando lui non trova qualcosa gli dica semplicemente «ma sì, tocchiccia un po’ la sul tavolo che la trovi». Trattarsi per quello che si è, senza iper-premure né imbarazzi, questa è una differenza con l’approccio delle altre generazioni, che riduce le differenze. Gioco di parole. E la vigna, come sottolinea Marco Florian, «è l’ambiente più inclusivo, perché puoi essere di qualunque religione o orientamento sessuale, c’è un denominatore comune che vale per tutti ed è la fatica».
Il secondo stacco con la generazione precedente è legato a un altro dei temi più abusati di oggi, il rispetto per l’ambiente. E questo – che lo si consideri o meno uno specchietto per le allodole – è un tema odierno. In questo senso l’esempio portato al tavolo è quello di Gianluca Bergianti, che nella sua Terrevive a Carpi (Mo), produce vino secondo i principi della biodinamica e con attenzione costante all’ecosistema che lo circonda. Di esempi come il suo ce ne sarebbero tanti ed è vero che i pionieri di questo approccio hanno iniziato negli anni ’70, quando si contavano sulle dita di una mano, ma oggi è l’approccio che segna una generazione.
Ponte temporale
Dall’altra parte del tavolo, Sara Cecchetto, che lavora nell’azienda veneta di famiglia, nomina Tamara Podversic, figlia di Damijan. «Nonostante la figura imponente del padre, ha saputo emergere e portare avanti le proprie idee» spiega. «È riuscita a creare un confronto positivo con la generazione precedente e a costruire un concetto condiviso del fare vino, tra l’esperienza del padre e le novità che lei stessa ha apportato». Se i temi precedenti descrivevano l’approccio giovane e dei giovani di oggi a fare il vino, allora forse la sfida è proprio questa: il dialogo costruttivo. Serve alle generazioni precedenti per stare al passo con un mondo che si muove veloce e per liberarsi di un troppo diffuso e pericoloso “abbiamo sempre fatto così”.
Serve ai più giovani per sostenere il proprio spirito critico e creare alleanze. Perché in questo mondo social e post-pandemico la capacità di fare unione e imporsi sembra ridotta a un gruppo whatsapp e invece Millennials e Gen Z la cercano. Lo si vede quando stanno intorno a un tavolo – non capita spesso – da come si ascoltano, da come si guardano, da come si accendono. Le chiavi di cui sopra, che non erano parole.
Quell’alleanza tra generazioni allora è importante e non serve solo a scambiarsi segreti sulle potature, ma a crescere reciprocamente.