La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è arrivata negli Stati Uniti. Questo pomeriggio, intorno alle 15 locali (le 21 italiane), sarà ricevuta alla Casa Bianca da Joe Biden. Si tratta della prima missione ufficiale della premier a Washington, della prima volta in cui metterà piede nello Studio Ovale, da alleata. Sembrano lontani i tempi dei comizi sui palchi dei C-Pac conservatori e trumpisti, ma pure quelli da pasionaria, visto il tracollo di Vox in Spagna.
Nel bilaterale, comunica una nota dell’amministrazione, «discuteranno gli interessi strategici comuni, tra cui il sostegno all’Ucraina contro l’aggressione della Russia, gli sviluppi in Nord Africa e un maggiore coordinamento transatlantico rispetto alla Cina». Biden e Meloni parleranno anche della «prossima presidenza italiana del G7 nel 2024». L’invito era arrivato a fine giugno, la data era stata definita dopo il vertice Nato a Vilnius.
Al centro dell’incontro, inevitabilmente vista la menzione di Pechino, ci sarà l’uscita soft, come la chiamano i giornali, dell’Italia dalla via della Seta. Palazzo Chigi ha tempo sino alla fine dell’anno per notificare alla Cina un ritiro dal memorandum sottoscritto ai tempi del governo gialloverde di Giuseppe Conte. Secondo i retroscena, Meloni potrebbe confermare al presidente il ritiro proprio durante l’ora di colloqui. Prima della partenza, la premier aveva detto di non «avere ancora deciso».
La posizione americana è chiara: «Sarà l’Italia a decidere se e quando lasciarla. È chiaro però che sempre più Paesi nel mondo sono arrivati alla conclusione che gli accordi con la Cina sono pericolosi», ha detto alla vigilia il portavoce della Casa Bianca, John Kirby. Che aggiunge: «Biden si è trovato molto bene a lavorare con Meloni, c’è un grande allineamento tra Italia e Stati Uniti su tantissime questioni internazionali. L’Italia è stata di grandissimo sostegno sull’Ucraina».
L’Italia ribadirà il sostegno a Kiev, sulla scia di un primo ministro molto apprezzato all’estero come Mario Draghi. Meloni deporrà una corona di fiori al cimitero di Arlington; darà interviste ai media americani per puntellare la sua immagine di leader, terrà incontri bipartisan e visiterà i due rami del Congresso. Il dossier che le sta a cuore, specie dopo l’attivismo con la Tunisia, è quello africano.
Da lì partono i flussi migratori che attraversano il Mediterraneo, ci opera la Wagner e nel continente vanno contenute le lusinghe economiche di Pechino. Un editoriale del Washington Post, citato anche dall’Ansa, osserva come ad altri leader della destra globale – dal brasiliano Jair Bolsonaro all’ungherese Viktor Orban – non sia mai stato concesso un invito alla Casa Bianca. Lo «sdoganamento» di Meloni, secondo il quotidiano americano, passa da una sola parola: «Russia».
Ha fatto la differenza, nei rapporti transatlantici, come il governo (sensibile su altri temi, come la maternità surrogata appena definita «reato universale», alle sbandate identitarie) abbia mantenuto una linea atlantista e pro Ucraina. E questo, a Washington, è stato notato. Con un sospiro di sollievo.