Educazione e giustizia socialeIl nobile obiettivo del Museo internazionale afroamericano, a Charleston

L’istituto museale, accompagnato da un enorme giardino pubblico, punta a rielaborare una storia americana complessa, dolorosa e ingiusta, creando un’atmosfera di riflessione e confronto

Nel suggestivo paesaggio americano del porto di Charleston, nella Carolina del Sud, si erge Fort Sumter, simbolo storico del conflitto che ha diviso gli Usa nella seconda metà dell’Ottocento. Fu proprio lì, su quel terreno carico di significato, che iniziò la guerra civile americana nel 1861, quando le truppe confederate dei sudisti assediarono la rocca presidiata dai nordisti, situata su di un’isola prospiciente alla costa della città.

Ma ora, nella stessa area che un tempo ospitava il molo di Gadsden, conosciuto come Gadsden’s Wharf, si trova una nuova aggiunta al panorama culturale della città: il tanto atteso Museo Internazionale Afroamericano (IAAM). Dopo un percorso travagliato durato quasi un quarto di secolo, caratterizzato da ostacoli politici, difficoltà economiche, raccolte fondi, imprevisti e contrattempi, questa imponente struttura culturale ha finalmente trovato casa a Charleston, aprendo finalmente le sue porte al pubblico.

Va detto che il museo è anche il coronamento della stagione politica del Democratico Joe Riley, ex sindaco di Charleston che ha fortemente voluto questa istituzione. Durante il suo mandato di oltre quarant’anni (tra i più longevi della storia americana) Riley ha trasformato la città, promuovendo sì la conservazione dell’architettura storica locale, ma riconoscendo anche l’importanza di onorare la storia e la cultura degli afroamericani, educando cittadini e turisti sulla loro eredità spesso trascurata.

La sua posizione geografica, nei pressi di Fort Sumter, non solo richiama l’importanza storica del luogo, ma invita anche a un dialogo critico sulla complessità del passato e sulle sfide ancora presenti nella società contemporanea. Il dibattito tutto americano sui musei che narrano la storia nera negli stati che furono schiavisti è diventato oggetto di ferventi discussioni e riflessioni. Questi musei si pongono l’obiettivo di affrontare apertamente il passato di schiavitù, segregazione e discriminazione razziale, ponendo l’attenzione sull’esperienza degli afroamericani e sul loro contributo fondamentale alla storia degli Stati Uniti.

La necessità di un’esplorazione franca del passato doloroso del paese e di un’educazione diffusa sulla storia e l’impatto dell’oppressione razziale è ampiamente condivisa dagli americani. I sostenitori di questi musei ritengono che siano strumenti imprescindibili per promuovere la comprensione, favorire la guarigione e stimolare una maggiore giustizia sociale. Tuttavia, la struttura e la presentazione di questi musei sono stati oggetto di accesi dibattiti. Mentre molti credono che tali istituzioni dovrebbero concentrarsi esclusivamente sulla storia degli afroamericani e sulla loro resilienza, altri sostengono l’importanza di contestualizzare tale storia all’interno del quadro più ampio della storia americana. Ciò permetterebbe di affrontare le connessioni tra la schiavitù, la segregazione e le forme contemporanee di discriminazione, fornendo una visione olistica.

Un altro punto di discussione riguarda la collocazione geografica di questi musei. Mentre alcuni sostengono che sia cruciale situarli negli stati che furono al centro della schiavitù, allo scopo di affrontare direttamente il passato di tali comunità, altri suggeriscono che dovrebbero essere diffusi in tutto il paese. Questa distribuzione più ampia mirerebbe a garantire che la storia nera sia affrontata e compresa in modo inclusivo e diffuso. Il dibattito attorno a questi musei riflette le tensioni e le complessità che caratterizzano la storia e la memoria collettiva degli Stati Uniti. E la sfida consiste nel trovare un equilibrio tra una narrazione onesta e accurata del passato e la promozione di una società più equa e inclusiva per il futuro. Una sintesi che il nuovo museo di Charleston sembra riuscire a raggiungere.

Questa struttura, che si innalza come una maestosa nave nel paesaggio circostante, è diventata un simbolo tangibile delle radici e delle trasformazioni che hanno profondamente ridefinito il concetto stesso di “America”. L’edificio, progettato da Henry N. Cobb (1926-2020) e Matteo Milani dello studio Pei Cobb Freed & Partners in collaborazione con Moody Nolan, si integra perfettamente nel contesto cittadino e negli ideali delle persone che lo hanno voluto. Si tratta di una struttura lunga e orizzontale, realizzata con mattoni di colore sabbia e sollevata su robusti piloni, a richiamare immediatamente l’immagine di una nave in un bacino di carenaggio. Tuttavia, come suggerisce il New York Times, il design sorprendente del museo evoca anche una visione proiettata verso il futuro, quasi come se fosse un’astronave “afro-futuristica” pronta per il decollo.

Accanto al museo si estende un ampio parco pubblico, noto come “Giardino Commemorativo degli Antenati Africani”, che offre un’atmosfera suggestiva e di riflessione. Questo spazio verde è stato concepito come un tributo alle vittime del doloroso attraversamento dell’Oceano Atlantico, conosciuto come il “Middle Passage”, e in particolare a coloro che sono arrivati a destinazione, sia vivi che morti, proprio in quel luogo. L’elemento centrale del giardino sono le incisioni sul pavimento, che rappresentano sagome a grandezza naturale di corpi affollati, come se fossero stipati nella stiva di una nave. Queste immagini spettrali richiamano alla mente le sofferenze e le tragedie vissute dagli schiavi neri, creando un’atmosfera di profonda riflessione. Tuttavia, nonostante la solennità del luogo, il giardino offre anche un messaggio di speranza e rinascita. L’artista di paesaggi Walter J. Hood ha curato con attenzione la vegetazione circostante, introducendo piante rigogliose che simboleggiano la vita e la crescita. Tra le piante selezionate si possono ammirare le palme native dell’Africa, un simbolo di un continente lontano, e l’erba dolce caratteristica della Carolina del Sud, che testimonia la ricca storia locale.

Varcando le porte del museo, lo sguardo viene catturato da un’esperienza immersiva unica: una mappa tridimensionale si dispiega davanti ai visitatori sotto forma di corridoio fatto di schermi che proiettano video. Ci si può ritrovare a contemplare la maestosità della Grande Moschea di Djenné in Mali, a osservare la simbolicità della “porta del non ritorno” in Ghana e a lasciarsi trasportare dai vivaci festival di strada che animano Bahia, Port-au-Prince e Brooklyn. Il tutto è accompagnato da una colonna sonora che evoca le melodie oceaniche provenienti da tutto il mondo, offrendo una full immersion nella vitalità e nella diversità della diaspora africana.

Il percorso espositivo si svela attraverso nove gallerie, ognuna con un’atmosfera che alterna grandiosità e dettagli presi dalle singole storie delle persone. Due spazi aperti di ampia portata, intitolati “Mondi Africani” e “Connessioni con la Carolina del Sud”, offrono installazioni multimediali che permettono ai visitatori di immergersi in una miriade di esperienze visive. Un vero trionfo è l’animazione video chiamata “Viaggiando nel Tempo” realizzata dall’artista Nate Lewis, con sede a New York e Washington D.C., che trasporta il pubblico in un avvincente viaggio attraverso le epoche. Inoltre, una mappa interattiva consente di esplorare la storia dello stato che ospita il museo con un approccio cronologicamente strutturato. Numerose gallerie più piccole e intime, curate con attenzione e ricche di oggetti e testi, grazie al brillante design espositivo di Ralph Appelbaum, si focalizzano su specifici temi. Una di queste, denominata “Viaggi in America”, conduce i visitatori in un percorso cronologico attraverso una serie di mini-installazioni che raccontano la storia del popolo afroamericano, concentrandosi principalmente sulla Carolina del Sud. Questo affascinante itinerario copre l’era della schiavitù nelle piantagioni, fino alla guerra civile e all’epoca dei diritti civili.

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