Gastronomika Club KantinaI mostri sacri

Questa è la seconda parte della newsletter sul vino di Linkiesta Gastronomika, a cura di Andrea Moser. Una selezione ragionata sull’enologia, con approfondimenti tecnici, consigli su bottiglie speciali e quotidiane, e il racconto delle tendenze internazionali. Da godersi con un calice in mano

Foto di Hans Ripa su Unsplash

QUESTO ARTICOLO FA PARTE DELLA PRIMA PUNTATA DI KANTINA, LA NEWSLETTER DI ANDREA MOSER RISERVATA AGLI ISCRITTI AL GASTRONOMIKA CLUB: per continuare a riceverla bisogna iscriversi a Gastronomika Club QUI


Mi trovo spesso a discutere
con persone che si avvicinano al vino e fra le prime cose che mi chiedono c’é quasi sempre la domanda: “Ma tu hai bevuto questo Gran Cru o questo Château? E quindi? Com’era? Ma che fortuna, ormai costano troppo”… e bla bla bla… Ebbene, vi svelo un segreto: il vino per me è la vita, è passione, è cultura, i vini costano, molto spesso tantissimo, ma come spesso racconto, per avvicinarsi e capire questo mondo “i mostri sacri” vanno assaggiati e riassaggiati e ancora riassaggiati. Il rischio di non passare per questo costoso e difficile portale al mondo dell’enologia è quello infatti di misurare, di parametrare tutto il vino che si berrà in futuro con dei falsi miti, magari moderni e fatti pure male, seguendo una qualche deriva “naturalista” (passatemi il termine, dai…) senza conoscere o almeno aver provato quelle bottiglie e quel vino che sono considerati da generazioni all’apice qualitativo della produzione mondiale.

Non si può pensare di assaggiare i vini di Sonoma e Napa senza fare un passaggio per Opus One, per Joseph Phelps con il suo Insignia, un Cab di Harlan Estate, uno Chardonnay di Ridge Monte Bello fino ad arrivare all’inarrivabile Cab di Screaming Eagle… come non si può pensare di affrontare i vini spagnoli senza aver almeno sentito parlare del Pingus, dell’Unico di Vega Sicilia, di Viña Tondonia sia esso bianco, rosé o rosso, o infine dei magnifici Priorat di Alvaro Palacios o Clos Mogador… La stessa cosa vale per l’Italia, di cui magari parlerò nello specifico più avanti, ma vale anche e soprattutto per la Francia, che al netto di una sana invidia italiana è lo stato in cui ahimè si producono le vette più alte a livello qualitativo mondiale… ed eccoci qui, proprio di questo voglio parlarvi, di una bellissima degustazione organizzata fra amici in un piccolo locale disperso fra le colline di Marostica, che ci ha offerto una splendida cena abbinata alle nostre meravigliose bottiglie, tutte e ripeto tutte dei grandissimi mostri sacri.
La serata era incentrata sulla zona di Bordeaux, 110.000 ettari all’attivo, una produzione enorme con attualmente non pochi problemi di mercato a causa del calo dei consumi, una situazione problematica che però sembra non intaccare mai la punta della piramide qualitativa di cui si discuteva e beveva in quella serata. La degustazione si è svolta in maniera orizzontale: in parole povere abbiamo assaggiato bottiglie della stessa annata, della stessa zona e prodotte da diversi Châteaux (per chi non lo sapesse, è il nome che si dà alle cantine in quella zona, ndr).
Quindi, correva l’anno 1995, e le bottiglie a darsi battaglia, almeno secondo i piani, erano sette, ma arricchite da una meravigliosa e molto performante magnum di Krug 161ème Édition in apertura. Alla fine della serata però ci siamo ritrovati con ben 12 bottiglie e una magnum al motto del “No, ma ancora una ci sta” e “Aspetta che anch’io ho portato una cosina” e ancora “Ma un Pirata non vogliamo mettercelo?”.

Non vi dirò di cosa “sapevano”
perché non è il mio lavoro ed è troppo soggettivo, ma posso dirvi cosa e perché mi è piaciuto e cosa e perché non mi è piaciuto o meglio mi è piaciuto meno.
Questi vini sono, sulla carta, il meglio della produzione della zona, e solo cinque Châteaux possono fregiarsi di questa classificazione nata nel 1855. Li abbiamo assaggiati tutti, ma prima ci siamo dedicati a una magnum di Krug per preparare i sensi in modo adeguato! Un assemblaggio di 134 annate da 12 provenienze diverse, dalla 1990 alla 2005, sboccatura 2013. Un vino meraviglioso, incredibile.

Abbiamo poi assaggiato i Bordeaux, alla cieca.
I risultati: Haut-Brion ancora freschissimo, come il Lafite, in forma smagliante. Terzo gradino del podio a Cheval Blanc e Angélus.
Quarto piazzamento per Latour e per La Mission Haut-Brion molto buoni, anche se quasi chiuso all’inizio il Latour e con note piraziniche abbastanza evidenti il La Mission.
Peccato per il Brett evidente presente nel Mouton Rothschild e grande delusione su Margaux, con un tappo bello ma un vino che proprio non ce la faceva. Cos d’Estournel 2006, ancora in formissima, croccante, frutta rossa matura, bella polpa, pieno e succoso. Sono felice di averne ancora da parte qualche bottiglia!

In ogni caso, una splendida occasione per studiare un terroir molto vasto e variegato, le diverse interpretazioni di un’annata e le differenti visioni enologiche, ma anche come le diverse bottiglie si sono evolute al passare del tempo.

Da non dimenticare ovviamente un Tignanello 1995 in forma ma “tarato” da un difetto di tappo. Dulcis in fundo, un epico Château D’Yquem che regge sempre e comunque con evidenti note di zafferano da Botrytis ma anche tanta frutta gialla e note speziate e saline.

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