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Ho iniziato a lavorare nel mondo del vino a 16 anni, ma ne ho annusato l’ambiente fin da piccolo, e da allora l’enologia è la mia vita, la mia passione e il mio lavoro. Ho all’attivo 24 vendemmie, nove anni da Franz Haas e nove come Kellermeister della più grande cooperativa in Alto Adige. Credo di aver assaggiato moltissimo di quello che si potesse ragionevolmente bere. Nonostante questo, ogni giorno questo mondo mi stupisce, mi sorprende, mi fa pensare. Con questa newsletter voglio portarvi con me in questo universo, per capire insieme qualcosa di più, e confrontarci su questo mondo seducente e complesso, esattamente come farei se fossimo nella mia Stube, davanti a un paio di bottiglie “giuste”. Pronti? Iniziamo!
Più PIWI per tutti
Iniziamo dai fatti
Per quanto possa non piacerci, i francesi, in enologia e viticoltura, hanno sempre qualcosa da insegnarci. E l’ultima notizia che arriva dalla Champagne deve farci pensare. Solo poche settimane fa, infatti l’Institut National de l’Origine et de la Qualité (Inao) della Champagne ha approvato l’ammissione del vitigno resistente Voltis per la produzione di Champagne AOC. Questo nuovo vitigno è il primo resistente a essere incluso in una denominazione francese.
Come spiegato da Maxime Toubart, co-presidente del Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (Civc) e presidente del Syndicat Général des Vignerons (SGV), Voltis è una delle risposte all’importante questione della convivenza tra residenti e produttori. Si tratta soprattutto di sviluppare pratiche e consumi nello spirito della sostenibilità.
Ma partiamo da prima: che cosa sono i PIWI?
I vitigni resistenti, meglio conosciuti come PIWI, sono in sostanza vitigni resistenti alle malattie, alcune almeno, e in grado di limitare l’impatto ambientale della loro coltivazione. I PIWI (dal tedesco pilzwiderstandfähig, “resistente ai funghi”), come suggerisce l’origine della parola, nascono in Germania già a fine ’800. Ma come vengono creati i vitigni resistenti ai funghi? Questi vitigni sono incroci tra specie di Vitis, che combinano le caratteristiche salienti, la resistenza e le qualità enologiche. Attraverso una selezione mirata, vengono creati nuovi vitigni innovativi che consentono di rendere la viticoltura più sostenibile e di affrontare alcune delle sfide future nel vigneto. Tutti i vitigni PIWI attualmente approvati per la viticoltura sono stati creati attraverso il metodo della selezione classica della vite.
Alcune di queste varietà di vite resistente sono approvate anche in Italia con il regolamento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 6 dicembre 2021, l’Unione Europea ha dato il suo via libera all’inserimento dei vitigni resistenti alle malattie fungine o “PIWI” nei vini a Denominazione di Origine. In realtà ancora nessuna di queste varietà è ammessa alla produzione di vini DOC in Italia, ma nella scala qualitativa legislativa i PIWI al momento si fermano ai “Vini da Tavola” ed alle “IGP”.
La decisione ha però diviso il settore enoico: anche se per molti rappresenta un passo in avanti verso una viticoltura più sostenibile e green, c’è chi guarda con diffidenza a queste varietà, considerandole una minaccia per la tradizione e la tipicità delle eccellenze italiane.
Ma se in Italia e in Europa sono già ammessi, perché tanto scalpore per la novità del Voltis e della Champagne?
Per il semplice fatto che è il primo vitigno resistente alla peronospora e all’oidio a venire incluso – seppur in via sperimentale, per dieci anni – in una denominazione francese.
Un bel segnale da parte della Champagne che si è messa alla ricerca di una strada per ridurre i trattamenti chimici e fitosanitari in vigna e resistere alle condizioni climatiche sempre più mutevoli, aprendosi così a questa innovazione che consentirà di piantare il vitigno resistente Voltis in campo e aggiungerne una certa percentuale nelle cuvée del vino base Champagne, senza dichiararlo in etichetta. Con la sua introduzione nella denominazione, Voltis è dunque il primo vitigno resistente alla peronospora e all’oidio ad essere incluso in un disciplinare AOC. Si tratta comunque di una sperimentazione di un vitigno a “resistenza sostenibile” (ResDur1) che consente di ridurre drasticamente i trattamenti fitosanitari contro le malattie fungine come peronospora e oidio. Per contrastare la proliferazione di questi funghi infatti nella viticoltura convenzionale, ma anche nel biologico e nel biodinamico si è costretti ad utilizzare notevoli quantità di anticrittogamici, molecole di sintesi (convenzionale), rame e zolfo (convenzionale, bio e biodinamico). In un mondo sempre più attento alla sostenibilitá va quindi da sé che la spinta e la ricerca legata a questi vitigni sia veramente forte.
Al momento questa riforma rientra nel quadro della “Variétés d’Intérêt à Fin d’Adaptation” (VIFA), ovvero offre la possibilità ai produttori di piantare fino al 5% delle superfici coltivate nella loro azienda agricola e di utilizzare questo vitigno resistente fino a 10% nelle cuvée in un periodo di 5 anni (rinnovabili una volta). Questa modifica del disciplinare, sfrutta la possibilità europea, dal 2023, di inserire nel disciplinare DOP varietà di uve diverse ottenute da vitigni non 100% Vitis vinifera, nello specifico una varietà ibrida che presenta caratteristiche organolettiche simili ai vitigni tradizionali ma con geni di resistenza alla peronospora e all’oidio da viti selvatiche del genere Vitis.
Questo sviluppo giuridico è atteso dalle zone viticole a denominazione di origine per far fronte in futuro alle sfide delle ZNT (Zones de Non Traitement), zone vicine a case, edifici pubblici, zone pedonali, piste ciclabili, in cui non è possibile trattare i vigneti se non in determinate condizioni e tempi.
La richiesta di inclusione di Voltis, già iniziata in Champagne nell’estate del 2021, corrisponde a sfide sociali forti e urgenti. Il Voltis è infatti una delle risposte all’importante sfida di tenere conto della convivenza: tra abitanti e produzione. Ma va oltre le ZNT, è anche una considerazione dell’evoluzione delle pratiche e dei consumi. I francesi si proclamano convinti che un AOC non debba evolversi costantemente, ma piuttosto adattarsi ai vincoli. Questo approccio è condivisibile e ci fa capire ancora una volta come lo spirito di innovazione e apertura al cambiamento sia fondamentale anche per un’agricoltura sempre più spesso demonizzata e additata come inquinatore supremo.
Ma i PIWI sono buoni?
Torniamo agli ibridi: la loro storia inizia, come abbiamo detto, alla fine dell’Ottocento con l’obiettivo di far sopravvivere le viti alla fillossera provando a ibridare alcune varietà di vite americana e vite europea per combinare la resistenza dell’una con la qualità dell’altra.
Tra i primi esempi di questa tipologia di incrocio figura, ad esempio, l’uva fragola (di cui francamente non sopporto nemmeno il profumo, da buon enologo – ndr.) che venne poi vietata prendendo come scusa la produzione eccessiva di metanolo durante la fermentazione delle sue uve mentre, in realtà, si cercò di evitarne la diffusione a scapito degli innesti di varietà europea su americana, che risultavano molto più qualitative.
Con il passare del tempo la ricerca in questo ambito è proseguita sempre di più, allargando il bacino di resistenza del vitigno alle malattie fungine in generale e continuando a selezionare e ibridare varietà provenienti da tutto il mondo con la tecnica degli incroci multipli, più complessi ed efficaci, per arrivare a viti in grado di resistere in maniera naturale a questo tipo di malattie e di affrontare la sfida della sostenibilità ambientale, ma anche sociale ed economica.
Tra quelle più conosciute ci sono sicuramente il Solaris, ma anche il Johanniter, il Muscaris e il Sauvignon Gris per i bianchi, oppure il Cabernet Cortis per i rossi.
Per concludere, che cosa possiamo fare noi?
In ultima battuta è bene ricordare che nonostante la ricerca faccia passi da gigante riguardo ai vitigni resistenti PIWI, il nostro personale sogno futuro è quello di trovare sul mercato vivaistico i vitigni tradizionali “resistenti”, e tenendo bene a mente che il vino prima di tutto deve essere un prodotto di qualità e che nel recente passato la maggior parte dei vini prodotti da PIWI non brillavano certo per la loro bontà, cosa che negli ultimi 4-5 anni è radicalmente cambiata, dobbiamo sempre tenere in considerazione il fatto che il mercato è “fatto” da noi consumatori. Se vogliamo veramente che la viticoltura si sposti verso un futuro più sostenibile dobbiamo indirizzare la produzione in questa direzione: se noi compriamo e chiediamo questo tipo di vini, la produzione sarà costretta a muoversi di conseguenza.
A questo proposito vi lascio con una canzone del grande Brunori Sas, “Il costume da Torero” che recita più o meno così: “Non sarò mai abbastanza cinico da smettere di credere che il mondo possa essere migliore di com’è, ma non sarò neanche tanto stupido da credere che il mondo possa crescere se non parto da me”.
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