Misura standardPerché i container sono a forma di parallelepipedo

Cesare Alemanni in "La signora delle merci" (Luiss UP) racconta che negli anni Sessanta ci furono diversi convegni per stabilire una lunghezza standard. Una contrattazione segnata da duelli a colpi di compasso

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Osservando una pila di container vi sarà capitato di pensare al Lego. E in effetti i container non hanno solo la forma in comune coi celebri mattoncini ma molto altro. Per esempio: anch’essi si basano su un complesso sistema di incastri che va dal molto piccolo di minuscoli dettagli progettuali al molto grande di colossali gru adatte a sollevarli. Per il viaggio della Ideal X viene perciò modificato ad hoc tutto ciò con cui i container entrano in contatto: dalle navi ai moli, dalle gru ai camion. E sono solo gli interventi più vistosi. Altri riguardano porzioni infinitesimali dell’intero processo – ganci, cerniere meccaniche, rinforzi – ma ugualmente indispensabili per la riuscita dell’esperimento.

Nel 1956, i primi 58 container della Ideal X sono perciò altrettanti pezzi di Lego spaiati. Combaciano tra loro ma non con il resto del sistema del trasporto internazionale: possono essere mossi solo dalla Ideal X, transitare solo dai porti di Newark e Houston, viaggiare solo su specifici camion. Se vuole avere un futuro, il container deve convincere il mondo a stare alle sue regole. Scomodando Goethe esso è infatti l’Urphänomen che detta le caratteristiche di tutto ciò con cui entra in contatto. Senza un accordo sulle sue specifiche, il container perde infatti il suo potenziale più rivoluzionario, ovvero l’intermodalità. Container diversi tra loro non solo non potrebbero comunicare ma finirebbero per generare ulteriori divergenze nei mezzi di trasporto, nelle infrastrutture e nelle tecnologie chiamate a gestirli. Si tornerebbe punto e a capo. Il container ha in altre parole bisogno di standard.

Se, come scrive David Singh-Grewal, uno standard è ciò che “permette ai membri di una rete di raggiungere forme di reciprocità, scambio e risultati collettivi”, nel caso del container esso è indispensabile per “generare” le economie di scala del trasporto che sono il messaggio implicito al medium del container. La “fortuna” del container è di comparire nell’età d’oro della standardizzazione. Con il ricordo della guerra ancora fresco, nel dopoguerra gli standard non sono visti come semplici protocolli tecnici bensì come collanti della cooperazione internazionale.

Nel pieno della Guerra fredda, gli incontri per trattare le loro specifiche sono le poche occasioni in grado di riunire allo stesso tavolo delegati occidentali e sovietici. Ed eppure, nonostante le buone intenzioni, l’iter di standardizzazione del container risulta comunque lungo e travagliato, brucia in pratica gli interi anni Sessanta. E non può essere altrimenti. Non appena la politica ne comprende il potenziale, la faccenda non interessa più solo impresari del trasporti, marinai, industriali e scaricatori ma diviene un tiro alla fune tra intere nazioni e sfere d’influenza economica e politica, ognuna decisa a sostenere lo standard che meglio si accorda con le caratteristiche delle proprie infrastrutture strategiche.

Intorno al container si accende così una contrattazione di natura anche geopolitica nel pieno degli anni più caldi della Guerra fredda, con convegni sparsi tra Washington e L’Aia, Parigi e Mosca. Una geopolitica di centimetri di metallo, di forme di ganci, di diametri di fori, ma pur sempre tale. Una contrattazione segnata da duelli a colpi di compasso e righello, di giurisprudenza internazionale, di fiumi di bozze approvate un giorno e rimesse in discussione quello successivo.

(…) Mentre i pionieri del container solcano i mari con le loro scatole “impure”, a fine anni Sessanta a Ginevra si compiono gli ultimi faticosi passi per la loro standardizzazione. Nel 1970 l’ISO presenta infatti il primo documento ufficiale con le “specifiche dei container […] adatti allo scambio e al trasporto internazionale via strada, rotaia e mare inclusi gli interscambi tra queste forme di trasporto”. È il patentino del container. Negli anni Settanta la garanzia di uno standard sblocca i primi sistematici investimenti nella containerizzazione: si costruiscono navi ad hoc, si adeguano porti, si adattano ferrovie e autostrade, appena in tempo per le grandi trasformazioni del processo produttivo globale che prendono avvio in quel decennio.

(…) In virtù della netta egemonia americana durante il periodo della sua comparsa, le attuali dimensioni di qualunque container al mondo corrispondono tuttora alla massima larghezza consentita ai veicoli sulle autostrade statunitensi degli anni Sessanta. È per questa ragione che, quando guardate un container, state guardando un parallelepipedo largo esattamente 2 metri e 44 centimetri.

Da “La signora delle merci Dalle caravelle ad Amazon. Come la logistica governa il Mondo”, di Cesare Alemanni, 200 pagine, 16 euro

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