C’è un problema in Europa. E questo problema si chiama autisti. Ne servirebbero sempre di più, ma in realtà ce ne sono sempre di meno. E presto, diciamo nel 2026, potrebbero essercene la metà di quanti (già pochi) ce ne sono oggi. Secondo i dati diffusi poche settimane fa da International Road Transport Union (IRU), solo nel 2021 sono rimaste vacanti quattrocentoventicinquemila posizioni da camionista, il che significa il dieci per cento del totale. Il che, di nuovo, significa che un camionista su dieci è andato in pensione e non è stato rimpiazzato. Lo stesso identico scenario vale per gli autisti di autobus: dove i posti rimasti vacanti sono stati diciassettemila, il sette per cento del totale. Secondo IRU, le cose potrebbero peggiorare presto, a tal punto che il numero di camionisti e autisti potrebbe dimezzarsi entro il 2026.
Un dato che può sorprendere in un quadro in cui la disponibilità di lavoro è uno dei principali temi dell’agenda politica ed economica. Per questo, al di là dei numeri della previsione di IRU, occorre capire cosa ha generato questo divario e questa vacanza di posti (e mancanza di lavoratori), quali conseguenze potrebbe avere e come sia possibile arginare gli effetti peggiori.
Secondo IRU le cause risiedono soprattutto nel fatto che il lavoro di camionista o di autista, per definizione piuttosto complesso e stressante (anche se in genere remunerativo, soprattutto per i camionisti) è poco accessibile: in molti paesi (Italia inclusa) l’età minima per la licenza di guida di autobus o camion è di 21/24 anni, cosa che taglia fuori la fascia dei diciottenni appena usciti dalla scuola e in cerca di lavoro. Lo stesso vale per i costi di scuola guida, in genere più alti di quelli della semplice patente B, a cui, poi, si sommano i costi di specializzazione e di affiancamento (che in genere ricadono sulle aziende).
Se invece ribaltiamo il punto di vista e ci occupiamo delle conseguenze, occorre valutare due cose: la prima è che anche se il trasporto su gomma nei prossimi anni diminuirà (anche per effetto del completamento dei progetti europei TEN-T), non scomparirà del tutto: esistono zone che in nessun modo possono essere raggiunte via ferrovia, ed esistono i tratti cosiddetti di ’ultimo miglio’ che sono fondamentali per la capillarità della rete dei trasporti, ma che non possono essere coperti se non su gomma (ad oggi circa il settantacinque per cento delle merci europee viaggia sui camion). La seconda è che buona parte dei progetti di decarbonizzazione dell’UE entro il 2030 passa per lo sviluppo dei progetti di mobilità pubblica, quindi per gli autobus. Senza autisti che li guidino, è del tutto evidente che questi progetti dovranno essere ripensati.
Così, assodato che c’è un problema di reclutamento di autisti, assodato che questo problema è dovuto alla difficoltà di accesso alla professione, assodato che le conseguenze potrebbero ripercuotersi su settori come l’approvvigionamento delle zone remote e come la stessa transizione verde dell’UE, occorre capire come il tema può essere risolto.
Per IRU esistono due leve sulle quali agire: la prima riguarda, come detto, la possibilità di prendere la patente per camion e autobus con tempi e costi che siano compatibili con un ingresso ’giovane’ nel mondo del lavoro. Il secondo invece riguarda le condizioni di lavoro, che spesso sono di forte stress e che altrettanto spesso mettono in pericolo la sicurezza e l’incolumità di autisti e camionisti. Quest’ultimo aspetto non riguarda tanto le statistiche degli incidenti stradali che, soprattutto per gli autobus, sono piuttosto basse, quanto il pericolo cui gli autisti sono esposti o dal contatto con il pubblico o, per paradosso, dal suo opposto, cioè il ritrovarsi in zone isolate.
«La sicurezza- dicono da IRU- in particolare per le donne conducenti, è fondamentale per rendere la professione più attraente. Solo il tre per cento dei parcheggi per camion esistenti nell’UE è certificato come sicuro. Costruire aree di parcheggio protette, assicurare la sicurezza dei conducenti, è un requisito cui non si può più rinunciare».