L’immagine di Vladimir Putin che dopo la solenne discesa delle scale del Palazzo del Cremlino si rivolgeva ai militari riuniti sotto le cupole ortodosse della Piazza delle Cattedrali voleva trasmettere l’idea una Russia forte e unita dietro il suo presidente. Una nazione ancora più solida dopo aver superato senza spargimenti di sangue il tradimento del leader della milizia mercenaria Wagner, Yevgeny Prigozhin, costretto a più miti consigli ed esiliato in Bielorussia sotto la tutela del fedele alleato Alexander Lukashenko.
Dopo appena due settimane, questa narrazione risulta addirittura più fragile di quel che sembrava, piena di contraddizioni e domande senza risposta. Il destino reale di Prigozhin era avvolto dal mistero, ma si pensava che fosse in Bielorussia. Invece, con un’intervista aperta a diversi media, compresa la Bbc, è stato addirittura Lukashenko a dire che il leader della Wagner si trova in Russia, forse a San Pietroburgo o forse Mosca, e che i mercenari della Wagner – organizzazione che doveva essere sciolta immediatamente a luglio – sono tornati nei loro accampamenti nell’Ucraina orientale occupata.
La strana conferenza stampa di Lukashenko arriva dopo giornate in cui le televisioni di stato russe hanno sommerso il pubblico con le immagini di un raid in una villa di Prigozhin a San Pietroburgo in cui si mostrano armi, droga, borse piene di contanti, lingotti d’oro, parrucche ridicole, travestimenti poco credibili, una grande foto incorniciata con teste mozzate nel deserto, e un enorme martello simile a quello usato in un video in cui i mercenari della Wagner giustiziano un disertore.
Un racconto che ha l’obiettivo di distruggere il personaggio di Prigozhin, ridicolizzarlo e screditarlo per il lusso e le ricchezze in cui vive, renderlo odioso con l’esibizione di una violenza barbarica, rovinarne la reputazione di critico della corruzione dei vertici delle forze armate che gli ha fatto guadagnare una certa popolarità nell’opinione pubblica russa.
Ma quelle ricchezze arrivano dai contratti e dalle attività finanziate dal Cremlino, come rivendicato apertamente da Putin, e quella violenza è la stessa che veniva celebrata dai propagandisti dei media di stato russi che tessevano le lodi dei combattenti della Wagner.
Nel frattempo, mentre il personaggio Prigozhin veniva distrutto in televisione, lui era libero di viaggiare per la Russia. Il suo jet privato è stato rintracciato in voli tra Mosca e San Pietroburgo e alcuni media locali hanno riferito di avvistamenti del leader della Wagner.
Secondo il sito Fontanka di San Pietroburgo, Prigozhin è stato in grado di recuperare 10 miliardi di rubli in contanti (circa 110 milioni di dollari) che le autorità gli avevano sequestrato il giorno dell’insurrezione, e la sua Wagner sta continuando a reclutare combattenti. Davvero troppa libertà di azione per un personaggio che come minimo doveva finire in una colonia penale per 30 anni, e come massimo morire avvelenato o in circostanze poco chiare.
Giovedì il Cremlino è apparso indifferente a queste notizie, il portavoce Dimitri Peskov ha detto che non c’è «né la capacità né il desiderio» di rintracciare Prigozhin. Sulla riapparizione del leader della Wagner si possono fare speculazioni più o meno ragionevoli, di sicuro però queste notizie spazzano via il lavoro propagandistico per ricostruire l’immagine di Putin come di un leader che ha ripreso il controllo dopo una situazione difficile.
Ciò riapre tutte le domande sul modo in cui è stata gestita la crisi, e sulle sue conseguenze nei tentacoli del potere russo. Infatti non è solo Prigozhin ad apparire sostanzialmente impunito, ma anche i servizi di sicurezza che hanno il compito di proteggere Putin esattamente da questo genere di minacce.
Sebbene a Mosca ci siano state diffuse voci sulle repressioni post-ribellione, queste voci hanno riguardato solo alcuni militari. La Guardia Nazionale e l’Fsb (il servizio federale russo per la sicurezza) non sono state oggetto di nessuna critica. Invece di attaccare i vertici delle organizzazioni deputate alla sicurezza del Cremlino, del presidente e dello Stato, Putin sembra aver deciso di non fare nulla.
Il capo del Consiglio di sicurezza, Nikolai Patrushev, e il capo dell’Fsb Alexander Bortnikov, mentre la colonna di mercenari della Wagner marciava verso Mosca abbattendo elicotteri (uccidendo almeno 13 militari), sono stati completamente assenti, anche sui media. Eppure, sono ancora al loro posto.
Questa mancanza di ripercussioni per i servizi di sicurezza è particolarmente sorprendente viste le prestazioni dell’Fsb, che oltre a non affrontare la minaccia ha fallito anche nel lavoro di intelligence per prevenirla.
Nel medio e lungo periodo potrebbero esserci ancora delle epurazioni, ma in passato quando Putin decideva di fare un “cambiamento” lo faceva molto rapidamente. Per esempio, quando nel 2024 i militanti ceceni presero brevemente il controllo dell’Inguscezia i vertici dell’Fsb vennero rimossi e sostituiti dall’oggi al domani, e il vice ministro dell’interno e il comandante militare si dimisero volontariamente.
Per ora quindi non è solo Prigozhin a sembrare impunito, e per qualsiasi autocrate questo è veramente un modo strano di riaffermare il controllo, di fronte ai russi e di fronte al mondo. Basta ripensare a cosa accadde dopo il fallito golpe in Turchia contro Recep Tayyip Erdogan, da cui il leader turco uscì più forte applicando una lunghissima lista di purghe, o immaginare cosa accadrebbe se qualcuno tentasse un’operazione del genere in Cina contro Xi Jinping. Inimmaginabile, almeno finché non succede, e Putin sta dimostrando che in Russia può succedere.