Gli studenti italiani perdono colpi. Rispetto al periodo pre-pandemico peggiorano i punteggi dei test Invalsi. Il fenomeno desta preoccupazione, ma non sorpresa, visto che già lo scorso anno erano emersi risultati deludenti e già da tempo era evidente l’effetto negativo che la didattica a distanza, ma non solo, ha portato all’apprendimento scolastico. Come quasi sempre accade nei momenti di crisi, ne è un chiaro esempio l’economia: l’impatto non è mai omogeneo e tende a colpire maggiormente i più fragili, ad allargare i divari, o perlomeno a non restringerli. E di divari ce ne sono moltissimi nell’ambito dell’istruzione, alcuni sono così radicati e antichi da passare quasi inosservati.
Non è il caso di quelli tra italiani e stranieri di prima e seconda generazione, di cui giustamente si parla abbastanza e che sono ben presenti e visibili. Non solo i punteggi sono peggiorati per tutti tra il 2019 e il 2023, ma nel caso dei ragazzi immigrati di prima generazione ancora di più. In italiano il divario tra i risultati di questi ultimi e degli italiani è passato dall’8,91 per cento al 9,14 per cento, e in matematica dal 4,48 per cento al 5,21 per cento. Anche i divari tra figli di migranti e studenti con cittadinanza italiana si sono allargati, perlomeno in italiano, salendo dal 4,46 per cento al 4,84 per cento. Si sono invece ridotti in matematica.
Per una volta, però, le disuguaglianze più ampie non sono quelle basate sull’origine, ma quelle che riguardano il livello socio-economico-culturale (Escs), che include diversi fattori, come lo status occupazionale dei genitori, la loro istruzione, la disponibilità di alcuni beni e servizi cruciali (internet e computer in casa, una camera personale, etc). Ebbene, anche in questo caso i peggioramenti hanno coinvolto tutti i ceti, ma, guarda caso, un po’ di più quelli medio-bassi e bassi, così che il divario tra i punteggi di chi appartiene a questi ultimi e di chi fa parte dei più alti, già ampio nel 2019, è ulteriormente aumentato. In italiano è cresciuto dal 12,46 per cento al 15,03 per cento e in matematica dal 10,96 per cento al 13,15 per cento.
Sono dati rilevanti perché riguardano gli studenti dell’ultimo anno delle superiori, quelli che hanno avuto modo di essere sottoposti al numero massimo di anni di istruzione. Tredici anni che in teoria avrebbero dovuto attutire l’influenza del contesto familiare rendendo più omogeneo il rendimento. Non è accaduto. Anzi, avere genitori poco istruiti e/o a basso reddito conta anche di più del provenire da una famiglia in cui non si parla l’italiano, come capita a tanti ragazzi di origine straniera.
Perché? Tra i motivi probabilmente vi è anche quella divisione tra indirizzi scolastici alle superiori che ormai in Italia tacitamente si è trasformata in una vera e propria moderna divisione di classe. Tra chi studia al liceo e quanti frequentano le professionali vi è un abisso, questi ultimi hanno ottenuto ai test Invalsi di matematica un punteggio del 26,52 per cento inferiore dei primi.
È un divario che esiste in tutta Italia, anche nelle regioni più rappresentative del Nord e del Mezzogiorno, Lombardia e Campania. In quest’ultima nel 2023 il divario è leggermente diminuito rispetto al 2019, ma parliamo comunque di disuguaglianze molto superiori a quelle sulla base dell’origine geografica o il livello Escs.
Lo sappiamo, gli istituti professionali, a dispetto del nome, da molto tempo non sono scelti da coloro che vogliono formarsi con competenze spendibili alla fine della quinta nel mercato del lavoro, ma da quanti non hanno molta attitudine allo studio. Hanno normalmente alle spalle genitori che a loro volta non hanno il rendimento scolastico tra le priorità, hanno anch’essi studiato di meno e generalmente un reddito minore della media, visto che, come sappiamo, l’istruzione è strettamente collegata agli studi.
Si è attivato un circolo vizioso, per cui i figli di laureati e persone ad alto reddito, che spesso si sono sposati tra loro, fanno il liceo e hanno alle spalle una famiglia che spinge perché abbia buoni risultati. Allo stesso tempo i figli di quanti si sono fermati al diploma o ancora prima e hanno fatto le professionali, magari senza acquisire alte competenze, a loro volta prendono lo stesso indirizzo e perlomeno in italiano e matematica ottengono risultati simili e difficilmente intraprendono studi universitari.
Questa disuguaglianza è ormai diventata profonda e auto-replicante, un po’ come quella tra caste in India, e si incrocia con le altre, come quelle tra Nord e Sud del Paese.
È particolarmente impressionante osservare quanto sia grande il divario tra i punteggi in matematica di due estremi, quello di quanti frequentano l’ultimo anno dei licei scientifici lombardi e di quanti sono al quinto anno degli istituti professionali in Campania: il 35,9 per cento.
I divari causati dalla diversità degli indirizzi scelti sono quindi così ampi da determinare più di tutti gli altri il punteggio in questi test.Il solo fatto di frequentare le professionali causa una riduzione media di 17,6 punti in matematica e una di 12,9 in italiano, incide ancora di più dell’essere ripetente, che già solitamente è un indicatore di scarso rendimento.Così fare il liceo provoca più di 20 punti di vantaggio, ancora più del frequentare una scuola con un livello Escs più alto o vivere al Nord.
Ai più sembrerà normale che gli studenti dello scientifico abbiano competenze maggiori di quelli delle professionali, soprattutto in matematica, ma in realtà gli esiti dei test Invalsi di questi ultimi sono inquietanti anche in valore assoluto, non solo relativo: solo il nove per cento al Sud e nelle Isole e il venticinque per cento al Nord raggiunge a diciotto-diciannove anni i traguardi che dovrebbero essere alla loro portata l’ultimo anno delle superiori.
Questa divisione nella società, così radicata da risultare quasi invisibile, è in fondo all’origine della divisione successiva, quella nel mondo del lavoro, che separa, per esempio, chi è occupato nei servizi avanzati, nelle professioni, nei comparti con salari maggiori e chi lavora nei settori labour intensive in cui gli stipendi sono stagnanti.
È all’origine del fatto che il figlio del muratore farà il muratore e il figlio del medico il dottore. E sarà ancora a lungo così finché a ogni livello, soprattutto ai vertici, sarà pacificamente accettato che trasmettere realmente competenze sia un appannaggio solo dei licei.