L’attacco è provocatorio: «Nel limitarsi a riportare le informazioni fornite da queste realtà e le loro foto perché più belle, noi giornalisti perdiamo l’unico potere che ci è rimasto: scegliere cosa pubblicare e cosa no». Inizia così l’approfondimento sul tema Anna Prandoni, direttrice di Gastronomika. Il risultato? Oggi quanto viene scritto è, in troppi casi, un «copia incolla» di ciò che viene dettato dagli uffici di stampa. Ad analizzare bene i fatti, queste figure professionali adempiono regolarmente a quanto richiesto dal loro ruolo, i giornalisti invece sembrano essersi dimenticati il proprio: essere i mediatori tra le informazioni raccolte e i lettori, riflettere su quali di queste potrebbero trovare più interessanti, ma soprattutto su quali sono le più utili per loro. Infine, ragionare se queste sono coerenti con la linea editoriale e se possono essere pubblicate o meno.
«Da giornalista non dovrei copiare e incollare un comunicato stampa», specifica la direttrice, svelando però che qualche volta sono le stesse agenzie a invitare a farlo «almeno così lo scrivi bene». A tale proposito Marcello Lovagnini, account director presso GRASSI & PARTNERS spiega:«Un buon ufficio stampa non lo dovrebbe dire. Tuttavia, di fronte al moltiplicarsi di interlocutori non propriamente affidabili e una qualità media diminuita, a volte è meglio che lo facciano, se il comunicato stampa è scritto bene». Questo vale almeno quando l’intento non è quello di comunicare un concetto, ma delle informazioni utili al lettore in merito a delle attività riguardanti un’attività ristorativa o il mondo dell’hotellerie.
Con «copiare» si intende riportare le comunicazioni basilari, insieme eventualmente a quella frase funzionale a far comprendere al meglio ciò che il cliente vuole raccontare. Tuttavia, questo non toglie il valore aggiunto di un buon articolo, realizzato integrando le informazioni ricevute dall’ufficio e riformulandole con il proprio punto di vista e stile. Lo afferma lo stesso Lovagnini: «Il nostro compito è anche quello di cercare interlocutori affidabili che sappiano dare un punto di vista originale e personale sulla storia, che aiutino a creare un bouquet di notizie e una rassegna stampa più variegati e che aiutino lo stesso cliente a riflettere, a fare il passaggio successivo ed evolvere».
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Concorda con questo punto anche Véronique Enderlin, fondatrice dell’ufficio stampa Les Enderlin Press Office, PR: «Sono gli articoli che fanno venir mal di pancia ai competitors, quelli che sono stati scritti con il cuore. Tutti noi ce ne accorgiamo, in primis il cliente». Eppure, a volte non è semplice trovare un comunicato stampa ben scritto.
Interviene Penelope Vaglini, giornalista e co-fondatrice di Coqtail Milano, riportando il punto di vista della sua fazione: «Come ci sono tanti nostri colleghi con background non forti, così vi sono tanti uffici stampa improvvisati, che non fanno bene questo lavoro perché non l’hanno mai fatto prima». Quanto offrono sono elaborati lacunosi, mal scritti, fonti da cui è difficile prendere ispirazione e, nel peggiore dei casi, appunto da ricopiare. Ritornando al precedente «copia e incolla», Vaglini non giustifica il suo comparto, ma denuncia una nuova prospettiva del fenomeno, dal punto di vista dei giornalisti freelance: «Questi sono costretti a scrivere sei, sette articoli al giorno. Come fai ad approfondire, a offrire una tua visione, se non hai il tempo per sviluppare e assimilare il tema?».
Quanto detto fino a ora riconduce a un problema, se non unico, il principale: l’editoria è in crisi. Come dichiara consapevolmente Anna Prandoni: «Noi eravamo quella cosa lì e ora non lo siamo più». Al contempo, innegabile è il ruolo fondamentale dell’ufficio stampa nel sostentamento, almeno in parte, di questo settore. Ma che cosa fa esattamente un ufficio stampa? La loro prima funzione è quella di comunicare ai giornalisti il patrimonio di informazioni e novità riguardanti i loro clienti, in conformità alla loro personalità e all’ambito in cui lavorano. Lo specifica Alessia Rizzetto, fondatrice della sua omonima agenzia di comunicazione Alessia Rizzetto PR & Communication, riportando quanto ha appreso dalla sua esperienza nel settore: «Quello che il giornalista si aspetta e vuole è una storia da raccontare, che possa trovare spazio nel giusto contesto… È importante conoscere i propri interlocutori, ciò che li interessa è proporre loro un contenuto che sia coerente con ciò che ricercano. Proporre la storia giusta alla persona giusta».
Il mezzo con cui questa viene veicolata, o almeno dovrebbe essere, è il comunicato stampa, strumento cardine di questo lavoro e che tuttavia lei abolirebbe. «La maggior parte finiscono nello spam, nessuno li legge. Servono più a soddisfare l’ego del cliente che l’esigenza effettiva dell’ufficio stampa. Ti permette di avere una traccia di quello che andrai a veicolare, ma se tu hai chiari i valori del brand che rappresenti, non serve».
La domanda sorge spontanea: «Il cliente riesce a interiorizzare questa procedura, la capisce?» «Questo è proprio l’altro ruolo dell’ufficio stampa» spiega Lovagnini. «Essere mediatori tra i desiderata del cliente è quello che è l’effettivo stato del panorama dei media a livello regionale quanto internazionale». Il compito diventa pertanto quasi «psicologico», o meglio educativo: spiegare al cliente che non vi è il bisogno di comunicare una notizia o, eventualmente, indicargli quale è il modo giusto con cui veicolarla; aiutarlo strategicamente a sceglierne una piuttosto che un’altra in base al giornalista quanto alla tipologia di testata in cui verrà riportata, online o cartacea. Ancora, individuare gli aspetti della sua storia che possono risultare più interessanti ed efficaci. Infine, insegnargli a riservare certi contenuti solo alla stampa, a non soffermarsi sull’immediato, ma aspettare per vedere i risultati positivi di questa operazione.
L’ufficio stampa è quindi come afferma Marcello Lovagnini «in mezzo a due fuochi». Da una parte si rivolgono ai giornalisti, costruendo con loro un rapporto basato su uno scambio professionale costruttivo, «do ut des»: loro forniscono informazioni, novità, «le foto più belle» agli interlocutori, quest’ultimi si sentono liberi di raccontare ciò che loro credono sia più adatto al lettore e non si aspettano di essere invitati a tutti i loro eventi. Dall’altra parte si interfacciano con i clienti, che li ascoltano e si fidano delle loro scelte, o almeno dovrebbero.
Questo è il mondo ideale che è stato presentato finora, quello reale è però ancora lontano da rispecchiarlo. «Perché questo meccanismo non funziona?» chiede Prandoni. Per Marcello Lovagnini il problema sono le tempistiche: «Tutto è molto più veloce, ogni giorno vi sono mille progetti che devono essere presi, impacchettati e lanciati». Aggiunge: «Sono moltiplicate le occasioni di visibilità con l’online e l’avvenuta dei social. Si sono moltiplicati i modi per raccontare le storie e insieme la voglia di raccontare, tutto e soprattutto subito. Ciò che vorresti fare alla perfezione fa i conti con la giornata e il suo numero di ore limitato». A occupare gran parte del tempo è anche lo sviluppo e il mantenimento del rapporto empatico con il cliente, essenziale, come sottolinea Véronique Enderlin: «Bisogna trascorrere regolarmente del tempo con lui per capire le sue intenzioni, i suoi sogni, ciò che non ci dice, il «non palpabile» che noi dobbiamo tradurre in parole e fotografie».
Dispendiosa in termini temporali è anche la relazione con i giornalisti: «Spesso è difficile rintracciarli, non sono presenti in loco e possono concederti solo una breve chiamata, non abbastanza per presentar al meglio la tua idea» riconosce Lovagnini. Inoltre, «Le redazioni si sono contratte e gli interlocutori diminuiti». Parla di quelli «interessanti», coloro che sono in grado di produrre un articolo di valore e che, nel sempre più frequentato e abusato settore dell’enogastronomia, «non sono tanti».
A questo punto, se il tempo a disposizione è poco, effettuare una selezione strategica di coloro con cui relazionarsi diventa un elemento fondamentale. È Ezio Zigliani, di Ezio Zigliani Press Office & PR a sostenerlo, insieme agli altri quattro relatori: «Bisogna conoscere e individuare chi è più «utile» a creare una rassegna stampa interessante». La questione che si pone ora è: «Come si fa a scegliere a chi mandare cosa?».
A rispondere per primo è Lovagnini: «Devi conoscere i tuoi interlocutori, capire cosa scrivono, dove e quando; incontrarli nelle occasioni ufficiali, durante gli eventi». Una volta fatto ciò, la loro elezione come candidato per ricevere una notizia dipende però dal «target finale che si vuole raggiungere» come specifica Alessia Rizzetto. «Sulla base degli obiettivi che si stabiliscono a monte, bisogna capire quali sono le testate più in target, quali informazioni fornire loro e quando, a seconda delle tempistiche d’uscita di un prodotto». Questo significa instaurare anche un rapporto con l’interlocutore, non tuttavia di «amicizia» come specifica Lovagnini, ma di rispetto e aiuto reciproco. Per Enderlin la figura del «giornalista amico» è colui che decide di impegnare parte del suo tempo ad aiutarti a migliorare la struttura e stesura del tuo comunicato stampa, a farti notare gli elementi meno chiari e a suggerirti cosa andrebbe corretto. Un rapporto basato sulla trasparenza è quindi quello che dovrebbe esserci tra giornalisti e uffici di stampa.
Lo ribadisce la nostra direttrice: «Tu (Pr) mi fornisci le informazioni, io le interiorizzo, le capisco. Non dovrai ripetermi la notizia più volte, perché quando mi servirà, mi tornerà in mente». Certo, a complicare questo procedimento sono i numerosi comunicati stampa che i giornalisti ricevono al giorno, tra cui sono costretti a loro volta a fare una selezione. Come racconta Penelope Vaglini, questo avviene prestando attenzione a diversi elementi: se la notizia è rilevante e interessante leggendo l’oggetto dell’email, se c’è il tuo nome all’interno ma, prima di tutto, se conosci chi è la realtà che te l’ha inviato. Si gioca sulla fidelizzazione, sul rapporto che si instaura con il giornalista, di reciproco aiuto per cui «se avrai delle esigenze temporali di far uscire presto una notizia, io dedicherò parte del mio tempo a scriverne un articolo».
Ovviamente non si può redigere un pezzo solo sul cliente di quell’ufficio stampa o sulla sua ultima novità, ma come suggerisce la giornalista: «Bisogna collegare i puntini e cercare di comprendere se può rientrare in una tematica più ampia», interessante anche altri attori. Talvolta questi possono essere anche loro concorrenti, ma come specifica Alessia Rizzetto: «Se però tutti sono nel posto giusto al momento giusto questo non può che dar più valore, al cliente in primis».
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Riassumiamo, primo punto: gli uffici stampa servono. Lo sottolinea Ezio Zigliani: «Le aziende non hanno spesso la capacità di avere un ufficio di marketing interno che abbia gli strumenti per realizzare le foto della definizione giusta o per comporre una sua presentazione che non sia una semplice brochure», risorse che invece l’ufficio stampa provvede a garantire. Oltre questi, si aggiunge la sua attività di consulenza, il suo compito di creare una strategia efficace e che crei aspettativa intorno alla novità. Infine, il loro essere «guardiani della porta» come dice Marcello Lovagnini: monitorare ciò che i giornalisti pubblicano in merito al loro cliente. Ciò si traduce nel non mandare lo stesso comunicato stampa a più interlocutori nello stesso momento, centellinando nel tempo così come distribuendolo, dando l’anteprima di una notizia a uno e di un’altra a un altro, ed evitare che loro ne parlino prima che questa sia stata resa ufficialmente pubblica.
Negli ultimi anni, gli uffici stampa stanno inoltre facendo propria la missione di educare i loro clienti all’idea che non sia necessario avere una rassegna stampa fitta come un «bibbione», spingendoli ad abbandonare la «sbornia» di scrivere un comunicato stampa per qualsiasi novità e progetto, ma solo su quelli realmente interessanti e finalizzati alla comprensione del brand. Non c’è bisogno di scrivere di tutto. Lo sottolinea la stessa Anna Prandoni, puntualizzando inoltre sul fatto che se un giornalista preparasse un articolo su qualsiasi evento in cui è stato invitato o di ciò che ha ricevuto come regalo dall’azienda, probabilmente quest’ultima non andrà a comprare una pagina pubblicitaria sull’editoriale per cui lavora, in quanto ha già la copertura mediatica che le serve. A lungo andare, andrebbe a fare un danno al settore in cui lavora e a lui stesso.
A riguardo, Penelope Vaglini è dell’avviso che nell’ambito enogastronomico sia importante avere la possibilità di testare e provare il prodotto, al fine di riuscire a parlarne. Il problema è quando l’ufficio stampa pone lo scriverne come un’imposizione, invece che una scelta che il giornalista dovrebbe compiere considerando sia la qualità complessiva dell’alimento che la sua comunicazione.
Le conclusioni
A ragione di quanto detto finora, è giunto il momento delle richieste da parte di entrambi le fazioni. Véronique, Marcello, Ezio e Alessia, rappresentanti dell’uffici stampa, chiedono ai giornalisti di: leggere bene i materiali che vengono inviati loro; non relazionarsi personalmente con il cliente da loro presentato senza che loro non ne vengano a conoscenza; conservare le email e i comunicati, al fine di creare un archivio da cui attingere nel momento in cui ne avranno bisogno. Dall’altra parte Anna e Penelope implorano per non ricevere più WeTransfer che scadono, suggerendo come alternativa WeDrive. Infine, chiedono di evitare di inviare comunicati stampa di notizie che notizie non sono: la realizzazione del nuovo sito aziendale o il nuovo menu dello chef di turno.
Il dibattito si conclude con le risposte alla domanda «Che consiglio daresti a chi ha appena iniziato o vuole intraprendere questo lavoro?». Ezio Zigliani ritiene che chi vuole occuparsi di ufficio stampa dovrebbe prima dedicarsi al mondo del giornalismo, per capire come funziona e come poi relazionarsi a esso. Alessia Rizzetto suggerisce come attività imprescindibile quella di leggere, creare un proprio database di informazioni e di giornalisti, farsi una cultura. Agire con buon senso aggiunge Véronique. Marcello Lovagnini ritiene che sia essenziale avere uno sguardo critico, conoscere il panorama completo e imparare a scrivere, prima di tutto in italiano. Dal lato giornalistico, la nostra direttrice Anna Prandoni consiglia di scrivere avendo sempre in mente il lettore e ciò che gli può essere più utile. Penelope invece, avere pazienza e rispettare sempre il lavoro altrui.
Il rispetto è proprio il valore su cui è emerso dovrebbe basarsi il rapporto tra uffici stampa e giornalisti, insieme a conoscenza reciproca, eleganza e gentilezza, che non guasta mai.