La premier Giorgia Meloni avrebbe detto sì. «Dai contatti che ho avuto ritengo che ci riceverà prima della pausa estiva per confrontarci sul salario minimo», annuncia su Repubblica Carlo Calenda, il primo fra i leader delle opposizioni ad aver chiesto un’interlocuzione con la presidente del Consiglio.
Non un incontro a due, però. «Si tratta di una proposta fatta da tutte le opposizioni. Il che è un valore da preservare. Poi certo, se i segretari degli altri partiti ritenessero di non venire, io andrei lo stesso. Va riconosciuto che la maggioranza ha ritirato l’emendamento soppressivo del nostro testo e aperto al dialogo», spiega il leader di Azione. «Il problema in questo momento ce l’ha il centrodestra: è chiaro al Paese intero che il salario minimo serve, anche agli elettori dell’attuale maggioranza. Ed è urgente non solo per combattere l’inflazione, ma anche perché le 500mila persone a cui verrà levato il Reddito di cittadinanza devono poter trovare un lavoro che sia pagato in modo dignitoso. Non possono aggiungersi ai cinque milioni già in povertà lavorativa».
Calenda parla di una «proposta moderata che rafforza la contrattazione nazionale e ha un tempo di introduzione lungo, 12 mesi, per dare la possibilità alle varie categorie di recepire i nove euro l’ora. Si tratta di una soluzione molto valida, altrimenti non l’avrei firmata«. E poi «staremo ad ascoltarla, se lei ha altre idee immagino ce le dirà. Partendo però da un dato incontestabile: in Italia cominciano a essere troppi i contratti che non garantiscono un salario degno. Lasciare le cose come stanno non è più tollerabile, né può esserlo quello che sostiene la ministra Calderone, per la quale va rafforzata la contrattazione di secondo livello: un principio in sé giusto, ma che nulla c’entra col salario minimo, perché si rivolge a una platea completamente diversa».
E la proposta di Forza Italia non va bene «perché contiene un solo elemento, riporta tutti i contratti di lavoro ai contratti nazionali, cosa che sta già nel nostro testo ma purtroppo non basta. Oggi il 90% dei lavori è coperto da contratti nazionali, ma 3,5 milioni di lavoratori non arrivano a nove euro l’ora».
Il Mef però ha già fatto sapere che mancano le coperture. «È un’idiozia», risponde Calenda. «Noi abbiamo previsto l’istituzione di un fondo in legge di bilancio per indennizzare i settori che sono più colpiti dall’aumento delle retribuzioni. L’ammontare verrà perciò demandato alla Finanziaria. Se poi si decidesse di non indennizzare le imprese, il tema del salario resta lo stesso: si tratta di stabilire che sotto i nove euro l’ora non può lavorare nessuno».
E ora Calenda si aspetta che Meloni «ci ascolti, ci dia il suo orientamento e a settembre ci presenti qualcosa che sia molto vicino al salario minimo, che però non si chiamerà con questo nome perché in Italia tutto quello che l’opposizione propone alla maggioranza è da cestinare, e viceversa. In questo siamo un sistema politico immaturo».