Riserve pieneL’Europa sta imparando a liberarsi del gas russo, ma la crisi energetica non è finita

Quasi tutti i Paesi del vecchio continente hanno stoccato quel che servirà per l’inverno. Ma affrancarsi dal regime di Putin vuol dire fare i conti con il mercato volatile del Gnl e con tutti i rischi che può comportare

AP/Lapresse

Le riserve di gas naturale in Europa sono quasi piene, la Commissione europea ha annunciato che il tasso di riempimento degli stoccaggi dei ventisette Stati membri ha raggiunto l’obiettivo del novanta per cento stabilito l’anno scorso, in anticipo di due mesi e mezzo rispetto alla deadline del primo novembre.

In base ai dati del Gas Infrastructure Europe (Gie) ci sono solo sei Paesi leggermente sotto l’obiettivo, e solo la Lettonia è al di sotto dell’ottanta per cento (di tre punti percentuali). La Spagna è al cento per cento, la Polonia e i Paesi Bassi sono al novantatré per cento, la Germania al novantadue per cento, l’Italia al novanta per cento, la Francia all’ottantaquattro per cento.

Come riporta il comunicato della Commissione, aver riempito gli stoccaggi prima dell’inverno aiuta l’Europa a prepararsi a possibili ulteriori interruzioni della forniture. «Insieme, ci stiamo liberando dal gas russo», ha twittato con soddisfazione la presidente Ursula von der Leyen.

L’anno scorso la Russia ha usato pretesti come la manutenzione straordinaria e i malfunzionamenti per ridurre i flussi di gas diretti all’Unione europea, con l’intenzione di “militarizzare” le forniture energetiche per mettere sotto pressione i governi e le opinioni pubbliche europee per farle desistere dal sostegno alla resistenza ucraina. I prezzi sempre più alti e la prospettiva di restare senza gas ha costretto i governi a prepararsi agli scenari peggiori, come i razionamenti e i blackout programmati.

L’inverno mite e la riduzione del consumi – legata anche all’impennata delle bollette energetiche – hanno scongiurato gli scenari peggiori, mentre si intensificavano gli sforzi per liberarsi dalle forniture di gas russo che, vale la pena ricordarlo, a differenza del petrolio non è mai stato sanzionato dai Paesi dell’Unione europea e che in misura minore continua a essere importato.

Secondo i dati Eurostat nei primi tre mesi del 2022 la Russia era il principale fornitore di gas dell’Unione con il 38,8 per cento del totale. Nello stesso periodo del 2023 la quota di gas russo si è ridotta a meno del diciassette per cento e continua a diminuire, privando Mosca di una ricca (e facile) fonte di entrate e di quella che sembrava la più significativa arma di ricatto russa.

Il rublo che Vladimir Putin voleva imporre ai Paesi europei per comprare gas russo oggi è tra le valute meno performanti del mondo, insieme alla lira turca, il peso argentino, e il bolivar venezuelano.

Tutto bene quindi? Non completamente. Essersi liberati dalla dipendenza dal gas russo non è abbastanza, poiché la trasformazione del mercato europeo ha portato a un cambiamento dei flussi globali del commercio di gas, innescando un processo che richiede qualche anno prima di stabilizzarsi.

Per liberarsi dalle forniture dai gasdotti russi i Paesi europei hanno dovuto guardare al resto del mondo entrando con tutta la loro potenza economica nel mercato del gas naturale liquefatto (Gnl), esponendosi agli shock di un settore più aperto, per certi versi paragonabile al mercato del petrolio.

Inoltre, anche se gli stoccaggi possono coprire fino a un terzo della domanda di gas nella stagione di riscaldamento, un’ondata di temperature gelide superiore alla media potrebbe far aumentare eccessivamente i prelievi dalle scorte, obbligando gli operatori dell’energia a comprare più gas e i governi a intervenire per limitare i consumi.

Tradotto: la crisi energetica non è finita, un’interruzione delle forniture è ancora un fattore di preoccupazione, e il mercato del gas è diventato molto più volatile rispetto al passato.

I trader europei sono diventati estremamente sensibili a tutto ciò che può interrompere o frenare la produzione o le esportazioni. Per farsi un’idea basta osservare cosa è successo nelle ultime settimane con la notizia di un possibile sciopero degli addetti agli impianti di esportazione di Gnl della lontanissima Australia, che ha fatto salire il prezzo del gas alla Borsa di Amsterdam (il Ttf) sopra i quaranta euro rispetto ai ventinove euro di inizio agosto.

L’Australia rappresenta circa il dieci per cento dell’offerta globale di Gnl, con forniture rivolte all’Asia che solo raramente arrivano in Europa. Tuttavia, se gli acquirenti asiatici di gas australiano fossero costretti dallo sciopero a cercare forniture alternative la loro domanda entrerebbe in concorrenza con quella dei Paesi europei, ed è bastata questa prospettiva per far impennare la quotazione dei futures del gas al Ttf.

Gli scioperi non sono confermati e ci vorrebbe tempo prima che influenzino realmente le esportazioni australiane di Gnl (il mercato asiatico infatti non si è turbato), eppure in Europa una notizia che in passato avrebbe suscitato un’oscillazione minima ha fatto schizzare in alto i prezzi.

Un’ansia che si è manifestata anche tra giugno e luglio quando la Norvegia ha comunicato un prolungamento dei lavori di manutenzione di alcuni impianti, un’altra notizia che ha fatto salire i prezzi nonostante la bassa domanda e il tasso di riempimento degli stoccaggi fosse già ampiamente sopra la media.

Come ha detto la commissaria europea per l’energia Kadri Simson, l’Unione europea si trova in una posizione «molto più stabile rispetto all’anno scorso, ma come abbiamo visto nelle ultime settimane il mercato rimane sensibile».

La volatilità del mercato resterà tale almeno fino al 2026, quando le forniture di Gnl si saranno stabilizzate con l’entrata in funzione dei nuovi impianti dei grandi paesi esportatori come gli Stati Uniti e il Qatar, quelle dei Paesi del Mediterraneo orientale (Egitto, Israele, Cipro), e di alcuni Paesi africani.

Ciò significa anche che dopo miliardi di euro e di dollari in investimenti per potenziare l’offerta di Gnl, e la firma di contratti di forniture a lungo termine per renderli sostenibili, non esiste un ritorno al passato. L’Europa non tornerà più a importare gas russo come in passato, chiunque prenda il posto di Vladimir Putin.

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