Il colosso dell’edilizia cinese Evergrande ha dichiarato bancarotta negli Stati Uniti. La richiesta, avanzata a un tribunale di New York, riguarda la ristrutturazione del debito «offshore», pari a diciotto miliardi di dollari. La mossa consentirà di proteggere gli asset del gruppo in America mentre negozia con i creditori: è a questo che serve il «chapter 15» della legge statunitense sulla bancarotta.
A fine 2021, l’allora secondo costruttore della Repubblica Popolare, con sede a Guangzhou, aveva esaurito la liquidità e non era riuscito a pagare i fornitori. A marzo 2022, alcune banche cinesi erano riuscite a farsi rifondere con due miliardi di dollari che però appartenevano alla sua versione internazionale, con sedi a Hong Kong, alle British Virgin Islands e alle Cayman.
Negli Usa, Evergrande ha ancora più di milletrecento progetti in duecentottanta città. In totale ha debiti superiori a trecento miliardi di dollari e l’anno scorso le sue azioni erano state sospese dal mercato. Negli ultimi due ani, ha registrato perdite maggiori agli ottanta miliardi di dollari. Un altro gigante cinese, Country Garden ha avvisato che potrebbe chiuderà la prima metà del 2023 in rosso di 7,6 miliardi.
«La chiave del problema sono i progetti non completati”, ha detto alla Bbc, il ricercatore di Moody’s Steven Cochrane. Numerosi edifici vengono pre-venduti, ma se poi i cantieri si fermano, gli acquirenti smettono di pagare il mutuo. Evergrande ha proposto la prima udienza per il 20 settembre.
Pochi giorni fa, il governo di Pechino aveva comunicato che l’economia cinese era entrata in deflazione, con i prezzi al consumo scesi a luglio per la prima volta negli ultimi due anni. Anche importazioni ed esportazioni erano calate nel 2022 e, il mese scorso, rispettivamente del 12,4 e del 14,5 per cento. La banca centrale cinese aveva risposto tagliando i tassi d’interesse, per la seconda volta in tre mesi.